Abbiamo intervistato Céline Sciamma in occasione della Festa del cinema di Roma dove ha presentato il suo ultimo film: Petite Maman. Il film è in sala da ieri con Teodora e sarà presto disponibile anche su Mubi.
Petite maman è un film fantastico. Ma nel tuo film non ci sono portali che aprono lo spazio-tempo né tantomeno macchine del tempo o magia: solo uno stacco di montaggio che ci fa entrare in un’altra dimensione. Avevi pensato fin dall’inizio a questa modalità di contrapporre due dimensioni differenti o ci sei arrivata nel corso del processo di scrittura e creativo?
Quando ho iniziato a scrivere questo film, terminata la prima bozza della sceneggiatura, mi sono resa conto che si trattava di un vero e proprio viaggio nel tempo. Allora ho cominciato a pormi delle domande e mi sono resa conto che non volevo che ci fosse una macchina del tempo. Volevo che l’unica magia, la sola macchina del tempo fosse quella che dà e trasmette il cinema, attraverso il montaggio, la composizione dell’immagine, le inquadrature, la musica. E quando si ha un’idea l’importante credo sia rispettarla. Allora mi sono detta che non bisognava avere paura: quest’idea la volevo rispettare, resistere alla tentazione di quelle che sono le convenzioni.
La narrazione procede per istantanee e suggestioni e il film è forse il tuo più materico. Inoltre, l'immaginario favolistico che evochi mi ha fatto pensare a certe storie del realismo magico...
Sì, effettivamente ho pensato “all’infanzia” del cinema. Ho voluto che questo cinema in qualche modo rispecchiasse una sorta di realismo magico, genere creato dalle donne cineaste dall’inizio del cinema. Quindi ho voluto ricreare quest’atmosfera di magia primitiva.
Uno degli aspetti più interessanti che emerge da Petite Maman è l’idea di sorellanza e cooperazione tra le donne, ma di un genere diverso e inaspettato, perché riguarda donne di generazioni diverse.
È un po’ questa l’idea: combinare l’aspetto gioioso e politico che vanno di pari passo. L'idea era di eliminare qualsiasi forma di gerarchia, creando un equilibrio tra quella che era la madre e quella che era la figlia. Ed è questo il motivo per cui ho scelto queste due sorelle. Ho pensato: se incontrassi mia madre a otto anni potrebbe essere mia sorella. Quindi ho cercato di passare da una genealogia verticale a una orizzontale, ciò che ha portato a quest’idea di sorellanza, superando a una sorta di visione di duo madre-figlia arrivando a un vero e proprio trio, focalizzandomi su questo trio a livello narrativo.
Negli ultimi anni la rappresentazione della maternità al cinema ha subito un netto cambiamento. Vediamo storie di maternità non-conformi e non performative, in cui viene denaturalizzato il "compito" materno, come d'altra parte da sempre vuole il femminismo. Cosa ne pensi di questa nuova tendenza cinematografica?
Me ne rallegro e non posso fare altrimenti. Io dico sempre che il cinema ha un impatto gigantesco sulla vita delle persone. Quindi il fatto che ci siano questi film è importante per chi si pone dei dubbi; significa che ci si può riflettere in qualcosa di diverso, atipico, che si ha la possibilità e di vivere qualcosa di non prestabilito, di farne finalmente esperienza.
Il tuo è un cinema di suggestioni, come dicevamo, e nello stesso politico. Come riesce a conciliare la necessità di trasmettere un messaggio politico con la libertà interpretativa che lascia allo spettatore?
Penso perché non ho un messaggio politico da dare, ma perché mi baso sulle sensazioni. Non c’è un messaggio. Io cerco di mettere delle idee che posso far danzare insieme. Più idee ci sono più il film diventa politico. L'importante è la ricchezza di possibilità. Queste idee devono danzare insieme e unirsi in maniera sensuale. Una sensualità che si lega a un’idea precisa del desiderio, un’idea che trasferisce a sua volta il bisogno e il desiderio di averne sempre di più.
Le donne protagoniste dei suoi film rivendicano sempre una propria posizione di osservanti, oltre che di osservate. E quindi una posizione nel mondo, una propria agency. Potremmo definirle muse obiettrici e Ritratto della giovane in fiamme è forse l’esempio più lampante perché ribalta il canone della musa. Secondo te oggi qual è il genere cinematografico che mette più in luce questo aspetto?
Mh... tu cosa ne pensi?
Penso che lo stia facendo specialmente il cinema horror, perché va a tematizzare molte delle ansie e inquietudini che conosciamo bene. Mi viene in mente l’ultimo di film di Leigh Whannel, che rilegge la storia dell’uomo invisibile in chiave femminista, o all’ultimo film di Natasha Kermani, Lucky, presentato al Festival del Cinema di Torino. Penso all’ultima Palma d’oro...
Ti seguo perfettamente nel tuo ragionamento. È una cosa abbastanza spontanea. Io credo sempre che i cambiamenti arrivino dove sono più forti i movimenti di resistenza, dove si è più oppressi e chiaramente si riesce a vincere. È il caso delle registe lesbiche (oppresse dalla storia del cinema) o dei film horror, dove le donne si sono sempre uccise, film che sono appunto il terreno fertile perché si porti avanti questa rivolta. Dove più c’è pressione, lì c’è resistenza. Ed è il motivo per cui il cinema borghese, o sentimentale, a mio avviso innova poco, anche perché trovo che proprio lì ci sia e sopravviva una sorta di oppressione più limitata, non evidente ma più strisciante…