Qualcuno ci ha provato a provocare George Clooney e a trasformare la conferenza stampa di Gravity nel solito one man show. E in fondo la domanda sulla Siria non poteva mancare, visto il legame d’amicizia che unisce Clooney ad Obama. George se l’è cavata evitando di pronunciarsi sull’eventuale attacco militare degli States, spiegando che avrebbe preferito schierarsi sull’affaire Affleck-Batman. Risate in sala, imbarazzo evitato, ma forse il messaggio è arrivato lo stesso, in qualche modo.
In compenso Alfonso Cuarón ha volato alto, ragionando sul senso del film, che è spettacolo, certo, ma affronta anche temi come il "senso della morte", il bisogno di rinascere, il coraggio di "piantare i piedi per terra" e affrontare la realtà. Per dirla con le sue parole: «La più grande esperienza della conoscenza è l’accettazione della morte».
Si è molto parlato anche delle difficoltà tecniche legate alla realizzazione del film, che ha avuto bisogno di studi approfonditi, consulenze scientifiche e un duro lavoro durante le riprese. Bisognava rendere al meglio l’assenza di gravità, e per questo gli attori hanno dovuto lavorare in una sorta di isolamento: «E' incredibile ciò che sono riusciti a fare - ha detto Cuarón - se penso alle condizioni in cui li abbiamo costretti a recitare». E se, come ha ricordato Clooney, la difficoltà per loro è stata anche quella di dover compiere gesti e movimenti molto lenti pronunciando lunghi dialoghi in modo spedito, la vera sfida è stata quella affrontata dalla squadra di animatori, che ha dovuto lavorare senza i soliti punti di riferimento: si trattava di mettere in scena uno spazio senza orientamento, in cui le cose non agiscono e reagiscono nel modo in cui siamo abituati. Per quasi tutto il film vediamo solo l’orizzonte terrestre in movimento e il buio cosmico.
Il finale della conferenza stampa, riservato ancora a Clooney, meno istrione del solito, è stato dedicato al satellite di proprietà dell’attore americano, puntato sul Sudan, con il quale viene monitorata la situazione in Darfur giorno per giorno, nel tentativo di scongiurare altri massacri. Di questo George ha parlato più volentieri che della Siria, dimostrando di essere molto più a suo agio nei panni del difensore degli oppressi piuttosto che in quelli del diplomatico.