Christina è bruna, minuta, con lunghe trecce annodate dietro; è anche ricca, la padrona del collegio diretto dal marito. Nicole è alta, con occhi ipnotici e un casco di capelli biondi e corti. Lei è l’amante del direttore, un signore prepotente e avido, contro il quale si alleano, decise a liberarsene. Sepolte nella provincia francese, Vera Clouzot e Simone Signoret mettono in atto il loro piano mortale in un film tortuoso, sensuale, scioccante: I diabolici, diretto e sceneggiato da Henri-Georges Clouzot dal romanzo di Boileau e Narcejac. Colpevoli e vittime mescolano le carte in un gioco macabro che non presuppone innocenza e non prevede né pentimento né perdono.
Energica, volitiva, svitata, viziata, prepotente se vogliamo, ma mai la grande Katharine Hepburn fu cattiva. Se non quando discese su quell’ascensore tutto volute liberty, cappelli piumati e abiti bianchi, l’autorità innata della gran dama del Sud. Si consuma dalle parti di New Orleans il dramma isterico e morboso di Improvvisamente l’estate scorsa, da Tennesse Williams (che sceneggia con Gore Vidal), diretto dall’esperto di femminile crudeltà Joseph Mankiewicz. Non un’assassina, ma una matriarca tentacolare e assertiva, cultrice di piante carnivore e memento mori, Violet vuole semplicemente far lobotomizzare la nipote per cancellare il ricordo della morte violenta e dell’omosessualità di suo figlio.
Volto inquietante e pericoloso, la vera star del doppio gioco, del malessere e dell’ambiguità anni 60: Jeanne Moreau, già adultera e uxoricida per Louis Malle (Les amants e Ascensore per il patibolo), tocca l’apice dell’indifferenza perversa e calcolata in Eva, da un romanzo tela di ragno di James Hadley Chase, uno dei culmini della barocca misantropia di Joseph Losey. Call girl di classe con derive sadiche, Eva non cade nelle trappole amorose, non si fa mai distrarre dal suo principale interesse (il denaro), gioca pigramente e lucidamente al gatto col topo. Va, viene, si spoglia, si concede, deride, sfugge. Una padrona spietata della propria e di altrui vite.
Certo, Baby Jane Hudson non è del tutto a posto, febbrilmente legata al suo remoto passato di star bambina, tutta boccoli biondi, merletto bianco e I’ve Written a Letter to Daddy. Ed è manesca, torturatrice, incontrollabile. Ma il vero mostro della famiglia sta relegato al piano di sopra, inchiodata alla sedia a rotelle, forzata vittima delle angherie della sorella: Blanche, sottomessa e spaventata, vera artefice della follia regressiva di Jane e dell’incidente che le spezzò le gambe. Che fine ha fatto Baby Jane?: grottesca, atroce picconata a qualsiasi residuo di mitologia hollywoodiana, in cui Robert Aldrich strappa la maschera di ragionevolezza e solidità indossata spesso da Joan Crawford, contrapponendola alla consueta, istrionica intemperanza di Bette Davis.