Se sono apparsi occhi di ghiaccio su uno schermo, sono quelli dell’infermiera Ratched, in servizio all’ospedale psichiatrico di Salem: chiarissimi e trasparenti, al punto da non lasciar filtrare mai la minima emozione. Signora d’acciaio modellata dallo scrittore Ken Kesey sulla capoinfermiera dell’istituto psichiatrico nel quale aveva lavorato come inserviente e interpretata da Louise Fletcher in Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975) di Miloš Forman, si muove felpata lungo i corridoi, guida i gruppi terapeutici con voce piana e distilla frasi avvelenate nella mente dei suoi pazienti. Mai umana, sa solo vietare e intimidire. Con la sua pettinatura anni 40, fu talmente identificata con il Male che gli spettatori applaudivano nel momento in cui Jack Nicholson cercava di strangolarla.
Di mamma ce n’è una sola, parte seconda. «Niente grucce di ferro nell’armadio!», urla la donna con la maschera di bellezza sul viso, gettando a terra tutti i vestitini della figlia e poi picchiandola con la gruccia. Scena cult, circola integrale sul web ed è il cuore di Mammina cara, biopic sui generis che descrive i rapporti di Joan Crawford con i figli adottivi, in particolare con Christina, dal cui libro omonimo, pubblicato nel ’78, è tratto il film di Frank Perry. Un’ossessa alcolizzata e violenta, cui dà corpo, viso angoloso, occhi sgranati una Faye Dunaway feroce, fuori controllo come non è mai stata, nemmeno come Milady, nemmeno come quell’autentica carogna di Diana Christensen, la cinica dirigente del network di Quinto potere (1976, di Sidney Lumet).
Pericolosissima stalker, capace di rapire un bambino, bollire un coniglietto vivo, aggredire con un coltello la moglie dell’uomo con cui ha passato un weekend tanto infuocato quanto passeggero. Nemesi terrificante di un discreto vigliacco che non riesce a tenerlo nei pantaloni, derivata (forse) dalla persecutrice del disc jockey Clint Eastwood in Brivido nella notte (1971), la Alex di Attrazione fatale di Adrian Lyne ha la massa di capelli biondi, gli occhi e le labbra di una splendida Glenn Close, avvocatessa emancipata dalle pericolose pulsioni. Mai fidarsi del viso trasparente dell’attrice, avviata a un futuro spesso perfido.
Infatti, nel 1988 Glenn Close veste i panni di una delle signore più infide e gelide del nostro immaginario: la marchesa che ordisce le spietate trame libertine di Le relazioni pericolose, immortale gioco al massacro scritto da Choderlos de Laclos nel 1782. Molto trasposta sullo schermo, tra ennui contemporanea, per Jeanne Moreau nel film del ’59 di Roger Vadim, glaciazione settecentesca, per Close nella versione dell’88 di Stephen Frears, bisticci mozartiani, per Annette Bening in Valmont (1989) di Miloš Forman. Di tutte Close è la più efficace, vera «virtuosa dell’inganno», capace di intrappolare persino sé stessa. Leggendario: il lungo primo piano finale davanti allo specchio. Versione comica: la supersnob Cruella DeVil della Carica dei 101 live di Stephen Herek.