Qualche anno fa Massimiliano Gioni, direttore della Biennale Arte di Venezia, presentava una mostra, Il Palazzo Enciclopedico, probabilmente una delle migliori esposizioni degli ultimi tempi per originalità e intelligenza, le cui opere erano per lo più creazioni di autori non professionisti, artisti non riconosciuti, outsider. Li si potrebbe definire esponenti dell’Art Brut secondo la definizione di Jean Dubuffet – anche se appare un controsenso utilizzare la parola “esponente”, poiché ha oramai intrinseco quasi un atto cosciente e volontario che, nel caso di questi autori, manca totalmente. Il Jaime raccontato e indagato da António Reis nel sublime film che porta il medesimo nome, potrebbe tranquillamente far parte di questa schiera.
Jaime è un uomo internato nel Pavilhão de Segurança all’Hospital Miguel Bombarda di Lisbona – luogo difficile da dimenticare per chi ha visto Recordações da Casa Amarela (1989), uno dei capolavori di João César Monteiro, e perché la sua forma a panopticon non può che creare più di un’inquietudine. Un folle, dunque. Ma non solo. Un folle che disegna e scrive in maniera forsennata. Probabilmente nelle mani di un altro regista questo soggetto sarebbe facilmente diventato un film strappalacrime sul pazzo redento dall’arte. Quanti film, per lo più assai brutti, sono stati girati attorno alla figura del pazzo furioso ma pieno di talento, incompreso in vita – il più delle volte – ma osannato dopo la morte? Oppure, più raramente, avrebbe potuto scaturire in un documentario che cerca di raccontare il perché e il per come dell’arte spontanea, le origini, la collocazione storica, ecc.
Niente di tutto questo. Jaime è un unicum, un film che non spiega e non vuole spiegare nulla – già questo dovrebbe chiarire l’umiltà dello sguardo di António Reis, riconoscibile come vera e propria poetica in Ana (1982) o Trás-os-Montes (1976), co-realizzati con Margarida Cordeiro.
C’è sempre qualcosa che rimane misterioso nel cinema di Reis, di intuibile ma non spiegabile, come se appartenesse a un flusso di immagini e coscienza. Non diverso Jaime, che associa alle parole scritte in maniera convulsa e ai tratti nervosi coi quali il protagonista (ma è sbagliato utilizzare questa parola, poiché il film è attorno alla sua figura, a lato della sua persona) disegna, il luogo nel quale è rinchiuso e l’ambiente nel quale è vissuto e probabilmente cresciuto, che ha visto, che forse ha nutrito il suo immaginario e le sue immagini. Il risultato è un film stranissimo e modernissimo – anche per l’uso geniale del suono, totalmente evocativo.
Arrivati al termine non abbiamo probabilmente appreso niente di più di quello che sapevamo già sull’Art Brut, né sullo stile pressoché espressionista col quale Jaime dipinge. Ma non abbiamo forse nemmeno capito molto di più sull’uomo – il perché della sua follia, il perché del suo percorso, ecc. Ma questo è assai poco importante. Quella che rimane, alla fine, è una sensazione che deriva da un’intuizione. La sensazione di aver attraversato un luogo, più luoghi, che in maniera inspiegabile ma coerente sono diventati segni e colori, tratti. La sua arte è con ogni probabilità il risultato dell’aver abitato quei luoghi. Quei segni rappresentano una dialettica, un conflitto, tra ciò che è presente al di fuori di noi, che ci accoglie o imprigiona, e ciò che sta dentro e reagisce in maniera più o meno violenta, più o meno agitata a ciò che sta fuori.
Ma questa dialettica è la dialettica che vive costantemente ognuno di noi, che tentiamo di adattarci o opporci all’ambiente, agli avvenimenti, al tempo. Che cosa rende dunque Jaime un folle rispetto a un altro? Niente. Non c’è nulla nel film di Reis che faccia pensare che il suo protagonista sia un pazzo. Percepiamo le sue vicissitudini e la sua condizione solo perché vediamo un ospedale psichiatrico. Che è un dato, un fatto. Accade, è accaduto. Ma non è un giudizio sulla persona, poiché non solo non viene posta alterità tra ciò che è normale e ciò che non lo è, non viene proprio presa in considerazione la questione poiché falsa alla sua base, al suo principio. In questo Jaime è un film profondamente morale.