You are someone else,
I am still right here
(Hurt, Johnny Cash)
Essere coerenti significa avere un punto di vista netto e perseguirlo fino in fondo. Se già nella vita di tutti i giorni è difficile rimanere dritti, senza tradire sé stessi per adattarsi a un luogo comune, socialmente accettato, nel cinema tutto ciò diventa più rischioso e evidente, più rischioso in quanto più evidente.
Leonor Noivo, regista di Raposa (già presentato al FID Marseille, alla Viennale, al DocLisboa, e ora a Porto/Post/Doc) con l’aiuto di Patrícia Guerreiro – attrice per Quem és tu? e O Fatalista di João Botelho – crea il personaggio di Marta, interpretato dalla stessa Patrícia, che è al tempo stesso figlia delle loro comuni esperienze e del loro segreto condiviso. La medicina dà a questa esperienza un nome ben preciso, anoressia (termine che nel film non viene mai pronunciato), descrivendone con termini clinici le cause e il decorso; la società ne dà un giudizio morale, come per qualsiasi disagio che dia segno nel corpo e nella mente.
In Raposa non vi è alcun giudizio, lo sguardo della regista è aperto, scevro da pregiudizi, intimo. Marta-Patrícia viene seguita dalla macchina da presa nel susseguirsi delle sue giornate fatte di numeri e annotazioni. I numeri sono ovunque, Marta conta di continuo, il peso, i grammi del cibo, il numero delle ciliege, i passi. La sua ostinazione nel controllare numericamente tutto ciò di cui faccia esperienza ricorda quella di certi artisti che anni fa sono stati esposti in quella che forse è stata una delle migliori Biennali di sempre, Il Palazzo Enciclopedico, in cui Massimiliano Gioni aveva raccolto le opere di autori professionisti e dilettanti, outsider e insider, accomunati dall’ossessione di poter catalogare tutta la conoscenza possibile.
Marta, a modo suo, è una specie di Antigone, il suo percorso, che va contro qualsiasi regola sociale e biologica, la porta però a intraprendere una ricerca che non può che spingersi verso un assoluto.
Da questo punto di vista Raposa è pressoché un film spirituale, non solo perché ci si trova davanti a un enigma, incarnato nel corpo della protagonista, ma perché, come per qualsiasi rituale religioso, l’atto, il gesto, diventa incomprensibile e privo di senso per chi non sia un adepto. Un mistero.
Leonor Noivo, con immensa intelligenza e rispetto, evita tutte le facili trappole che vanno dal pietismo alla denuncia sociale, dal patetico al ricatto emotivo. Marta-Patrícia, nonostante il disagio con cui ha imparato a convivere, è tutt’altro che fragile. La sua forza “nonostante tutto” la porta a camminare in bilico, costantemente a rischio di cadere, e a rimanere in equilibrio, riuscendo a modo suo a raggiungere dei barlumi di grazia.
Se c’è una frase che si addice a questo piccolo (nel formato, lo splendido 16 mm, e nella durata, una quarantina minuti) grande gioiello è il titolo di uno dei capolavori di Jonas Mekas, As I Was Moving Ahead Occasionally I Saw Brief Glimpses of Beauty (Andando avanti, di tanto in tanto, ho visto brevi scorci di bellezza).
Marta-Patrícia, accompagnata dalla macchina da presa di Leonor Noivo, attraversa con la sua figura minuta e decisa la bellezza che la circonda, riesce a farne parte in maniera sghemba e personale, senza adattarsi a nulla, solamente alla sua idea-immagine di perfezione-purificazione, come una farfalla che lotta per uscire dalla crisalide, liberandosi da un involucro che la tiene prigioniera fino al momento prima di potersi finalmente librare nell’aria.