Nel giugno di cent'anni fa, una troupe cinematografica britannica traversava la Manica per venire a girare presso gli studi Emelka di Monaco, poi in esterni sulla Riviera ligure e il Lago di Como. La troupe era capitanata dal regista Alfred Hitchcock, l'assistente e fidanzata Alma Reville e il direttore della fotografia Gaetano Ventimiglia. Il film, opera prima del regista, era The Pleasure Garden (Il labirinto delle passioni) e passò alla storia anche per le rocambolesche condizioni con cui venne girato, degne, è il caso di dire, “di un film di Hitchcock”. Il 6 giugno di dieci anni dopo (esattamente novant'anni fa), venne invece presentato a Londra The 39 Steps, una delle commedie più seminali e paradigmatiche di Hichcock. Giugno, dunque, è il più hitchcockiano dei mesi, e abbiamo voluto celebrarlo con un articolo che Ermanno Comuzio scrisse in occasione della grande retrospettiva del periodo inglese del Maestro al Festival di Venezia del 1969 («Cineforum» n. 88/89, gennaio/febbraio 1970). Mr. Memory Rules!
Tutti sanno che, prima di andare ad Hollywood, Hitchcock ha diretto diversi film in Inghilterra, ma tale attività è pochissimo conosciuta. […] Dal punto di vista filologico la retrospettiva dedicata da Venezia all'Hitchcock inglese colma la cosiddetta lacuna. La colma anche da altri punti di vista? Vale la pena di occuparci di Hitchcock, di conoscere anche i lati meno noti di una personalità così discussa? Occupa un posto, il signor Hitchcock, nella storia del cinema? Vedremo.
The Lodger (1926), il suo terzo film (sottotitolo «Una storia della nebbia londinese») è la storia di un pacifico giovanotto che fa di tutto per sembrare, agli occhi della gente, un maniaco omicida che si firma “Il giustiziere” e che sopprime tutte le ragazze bionde che incontra. Gli altri i proprietari della pensione in cui il giovanotto va ad abitare, gli altri pensionanti, i poliziotti, la folla non sanno che una delle vittime del mostro è la sorella dei protagonista, e che costui si prefigge di vendicarne la morte. Già qui i motivi che diverranno poi tipici di Hitchcock sono presenti a piene mani: ecco l'innocente che viene scambiato per un criminale, ecco il protagonista diventare vittima delle circostanze, stritolato da un ingranaggio mosso non tanto dalla fatalità quanto dalla cattiveria e dall'insipienza degli “altri” (siano essi la folla sempre ostile, per Hitchcock o i rappresentanti della legge, anche loro forze tutt'altro che amiche, per il Nostro). Ecco la “suspense”, ed ecco il tocco umoristico, quello che poi verrà chiamato l'“Hitchcock touch” cui fa da corona la prima apparizione del regista come comparsa del suo film, nei panni di un giovanotto grosso e scalmanato che si distingue per l'accanimento con cui tenta di linciare il protagonista.
Tutt'altra musica in Tbe Ring (1927, giunto a suo tempo in Italia col titolo Vinci per me), che racconta la rivalità amorosa tra due pugili, un dilettante da fiere rionali e un campione professionista, e il moto pendolare di una ragazza fra i due. Apparentemente (e anche realmente) i temi tipici di questo regista sono qui latitanti, ma chi (a Venezia è successo) si lascia trascinare ad imprecare alla latitanza di Hitchcock è gente che non ha occhi per vedere e che è affezionata ai suoi schemi, perché nonostante le apparenze The Ring è pieno di cose hitchcockiane. Lo è nei particolari, se non nell'insieme, ma l'Hitchcock meno vistoso e più autentico è proprio presente sempre nei particolari. […] Una caratteristica hitchcockiana, il distacco dalla materia trattata, il ridurre tutto a meccanismo, a esercizio ludico: l'understatement è appunto l'attenuazione dei fatti, l'atteggiamento sanamente scettico.
Blackmail: buoni e cattivi come pedine del gioco - […] Blackmail, cui collaborarono uomini più tardi divenuti illustri come Ronald Neame (operatore alla macchina e ciacchista) e Michael Powell (fotografo di scena), racconta la vicenda di una donna, fidanzata a un poliziotto, la quale si lascia adescare per leggerezza da un pittore dongiovanni, e quando costui si fa troppo intraprendente, la ragazza nel difendersi lo uccide con un coltello. Ma qualcuno l'ha vista, un piccolo cambrioleur. Il film è dominato da un componente ormai nota del Nostro, l'ambiguità. La nebbia di Londra è, stavolta, più dentro gli animi che nel paesaggio, e le manette, elemento plastico che domina più o meno scopertamente, con tutti i risvolti simbolici del caso, i film di Hitchcock, sono qui più che mai presenti, dominando anzi come un pedale continuo tutta la storia. Sono le manette che la ragazza sa di meritare (e con lei anche il suo amico rappresentante della legge, che accetta di imbrogliare le carte, come d'altronde le merita anche il piccolo ricattatore, il meno ambiguo di tutti). Il ghigno di Hitchcock si concretizza, tra cento particolari, nella sua apparizione: qui è un pacioso rispettabile signore che, in autobus, è disturbato da un bambino, una piccola creatura indifesa, un infante innocente.
Molto interessante, in Blackmail, l'aspetto tecnico-espressivo. Si tratta del primo film sonoro inglese e Hitchcock sfrutta in pieno la nuova dimensione che gli viene offerta, a partire dalla lunga sequenza che fa da proemio al film, con l'accorrere di una vettura della polizia. Poi c'è l'uso diventato famoso del contrappunto suono·-immagine, culminante nella sequenza in cui la protagonista è ossessionata dalla parola “knife” (coltello) che viene usata in un discorso qualunque, e che a lei sembra ingigantita dalle sue paure.
Uomini che sanno troppo, spie e poliziotti - Del 1930 è Murder!, lavoro d'impianto teatrale che concede molto alla recitazione ma che non manca di soluzioni visivo-sonore interessanti (tra l'altro vi si fa uso del “monologo interiore”, poi largamente utilizzato da altri). Rich and Strange (1932) è un film piuttosto singolare, soprattutto per gli “scarti” narrativi su cui si basa. Racconta i bisticci di una coppia di sposi che, mentre sono .in crociera nell'Estremo Oriente si dedicano a evasioni pericolose, lui con una sedicente principessa, lei con un proprietario terriero; poi, improvvisamente, questo clima di orchestrine di bordo, di flirt e di digressioni umoristiche si spezza. La nave fa naufragio, i due sposi sono gli unici superstiti, e il film diventa un racconto d'avventure; quindi i due protagonisti sono portati a pensare alla futilità del loro comportamento e ad assumere le proprie responsabi.ità. Salvo poi – e la coda si riaggancia all'atmosfera della prima parte – riprendere le vecchie abitudini quando sono ritornati a casa. La parte relativa al naufragio e il sorprendente clima che si stabilisce drammaticamente a bordo della giunca cinese, fanno di Rich and Strange un capitolo singolare nella fìlmografia hitchcockiana.
Interessante The Man Know Too Much (1934), di cui in Italia si conosce il rifacimento firmato nel 1956 dallo stesso Hitchcock L'uomo che sapeva troppo) . Rispetto alla versione colorata girata ad Hollywood, la vicenda inglese è più “povera”, più asciutta, ma ha anche cose più gustose e, ricorrendo talvolta al racconto indiretto, ne guadagna in suspense. Con derivazioni di uno humour finissimo.
Assolutamente delizioso è ancor oggi Tbe 39 Steps (1935). Un giovanotto qualunque dà rifugio ad una donna che, prima di venire pugnalata, lo mette a parte dell'esistenza di un complotto di spie. Decide di adempiere alla volontà della defunta proseguendo le indagini da questa iniziate, ma è subito inseguito da malfattori da una parte e dalla polizia dall'altra; i poliziotti lo raggiungono per primi e gli mettono le manette ai polsi. Intanto però il giovane ha scoperto il capo dell'organizzazione spionistica e, insieme a una ragazza cui il caso l'ha affiancato riesce a fuggire e a farsi rivelare in extremis, durante una rappresentazione teatrale, la formula che le spie intendono trasmettere all'estero (tale formula è custodita nella memoria di Mr. Memory, un fenomeno che si esibisce sul palcoscenico per rispondere a tutte le domande che gli rivolgono gli spettatori).
Innocenti con le manette ai polsi - Ritroviamo in questa storia personaggi e azioni ormai noti, primo fra tutti l'uomo che non sa e che non c'entra, “tirato dentro” in un ingranaggio maledetto che non gli compete, ma col quale deve fare faticosamente i conti, e che naturalmente deve lottare su due fronti. Su tre fronti, magari, prima che la ragazza (bionda, come sempre, longilinea e sofisticata: le donne nordiche accrescono il mistero, è un profondo convincimento di Hitchcock) passi dalla parte del protagonista. La donna, d'altronde, non ha mai un “campo” ben definito, nei film del Nostro; più che mai sottile è, per lei, la linea di demarcazione fra i “buoni” e i “cattivi”, fra l'agire “pro” o “contro”. Comunque in The 39 Steps l'elemento che sovrasta gli altri è l'umorismo: tutto è visto in una luce schiettamente scanzonata, per cui il meccanismo, man mano che viene portato avanti, viene smontato dall'ironia.
Di spie parlano anche The Secret Agent (titolo italiano Amore e mistero) e Sabotage, ambedue del 1936. Il primo film, tratto da un dramma basato su un romanzo di Somerset Maugham, vede un romanziere di successo incaricato dall'Intelligence Service di bloccare una spia tedesca. Suoi alleati sono una bella donna e un killer pittoresco, Peter Lorre che si fa passare per “generale” messicano. La pellicola è piena di golosità. L'inglese e il “generale” entrano in una chiesa dove dovrebbero trovarsi con un informatore: girano circospetti fra altari e sagrestie, sempre accompagnati fin dall'ingresso da un “pedale” d'organo, un'unica nota tenuta, che a poco a poco, diventa insopportabile; scoprono infatti che l'organista ha un coltello nella schiena e che col suo corpo preme un tasto della consolle. […] Senza dire dell'inseguimento in una fabbrica di cioccolata (l'azione si svolge in Svizzera) e della continua presenza smitizzatrice di Peter Lorre, scopertamente buffonesco con la sua prosopopea, la sua esagerata cavalleria, i suoi capelli crespi, i suoi baffetti insolenti, i suoi enormi fazzoletti nel taschino.
Sabotage è meno scherzoso. Tratto dal romanzo L'agente segreto di Conrad, racconta gli sforzi di un sabotatore londinese per adempiere le missioni che gli sono state affidate dalla banda di agitatori di cui fa parte, senza destare i sospetti della giovane moglie americana, la quale ignora tutto del marito. La grossa trovata del film è quella di aver accoppiato nei due ruoli principali attori così diversi fra loro come Oscar Homolka e Sylvia Sidney, i quali danno in effetti, insieme, una prova singolarissima del loro talento. Ma il risultato finale, a parte la suspense del pacco con la bomba trasportato in autobus dall'ignaro ragazzino e l'uccisione finale del sabotatore da parte della moglie (un'altra donna con coltello), non è brillante come per i film immediatamente precedenti.
«Lasciatemi divertire» - I personaggi centrali di Young and Innocent (1937) e di The Lady Vanishes (1938) sono familiari. Si tratta rispettivamente di un giovanotto incolpato di aver strangolato una donna e arrestato dalla polizia (poi naturalmente fugge. si allea a una ragazza figlia, addirittura, del capo della polizia e trova il vero colpevole) e di una turista che, testimone della scomparsa di una donna, non è creduta da alcuno e viene presa per pazza (poi troverà un alleato nella persona di un giovane musicista e insieme debelleranno le spie su un treno soggetto a peripezie). Anche qui i particolari valgono più dell'insieme. Tra questi due film e Hollywood c'è solo Jamaica Inn e L'Oceano Atlantico.
La domanda dell'inizio era dunque. «Valeva la pena?» Valeva la pena di conoscere questo Hitchcock, al di là di un evidente vantaggio di tipo strumentale? Dipende da cosa si cerca in questo regista. Abbiamo già detto che la sua intenzione è quella di piacere, non di fare dell'arte. Ma non per questo Hitchcock sacrifica tutto al pubblico, seguendolo in quelle che si possano ritenere le sue richieste. Hitchcock vuol piacere a modo suo, imponendo la sua maniera di far del cinema, che è irripetibile (infatti è stata spesso imitata, ma con scarso successo), costringendo il pubblico a seguirlo sul suo terreno. Hitchcock stesso ha parlato di “mistificazione” a proposito del suo atteggiamento verso il pubblico, soggetto e succubo della sua abilità di manipolare la realtà e di raccontare storie.
Manipolare la realtà significa escludere la realtà. Non si deve pretendere da Hitchcock che proponga personaggi, avvenimenti e situazioni con riferimenti al mondo reale, neppure quando, sempre più spinto dal clima internazionale che prelude alla Seconda guerra mondiale, il regista assume la spia come elemento base delle sue vicende. Nessuno, in buona fede, cercherebbe di dimostrare sul serio che negli ultimi film inglesi (uno finisce con una sequenza di montaggio sulla guerra) Hitchcock voglia adombrare l'ansia dell'Europa che sta per essere inghiottita dalla bufera. Anche Hitchcock, naturalmente, vive in un mondo dalle particolari, drammatiche sollecitazioni, ma come regista i suoi assunti sono particolari, staccati dalla verità delle cose e tendenti alla “verità” di una ricostruzione fantastica soggetta soltanto alle leggi rigorose del racconto. Hitchcock non condanna, non esalta, non insegna: egli rifiuta a priori gli impegni, i “messaggi” e le “morali”. Ci fa pensare ai giocolieri, che lanciano coltelli a qualche millimetro dalla pelle della loro partner, o di quelli che i coltelli li gettano vorticosamente in aria riprendendoli al volo senza mai ferirsi. Ha moralità, ha impegno, ha messaggi il circo equestre? No, eppure ha la sua utilità, il suo diritto d'esistere, la sua funzione.
In questo senso Hitchcock è un jongleur. Bravo, nel suo genere. Inutile trovargli la metafisica, come invece fanno i critici dei «Cahiers», ma inutile anche demolirne il disimpegno. «Hitchcock è un meraviglioso narratore di storie», lo aveva già detto il Sadoul. Il regista sfugge deliberatamente alla realtà, creando una sua dimensione che, per quanto assurda, attraverso l'uso di un particolare linguaggio espressivo diventa spesso più convincente di tanti racconti socialmente e umanamente densi.
Per noi, sì, Hitchcock ha un posto nella storia del cinema. Influenzato dall'espressionismo tedesco, durante il suo soggiorno in Germania, e poi dal kammerspiel e dalle “tragedie della strada” (Hitchcock confessa la sua grande ammirazione per film come Der Müde Tod di Lang), questo regista, che si occupa personalmente di tutti gli aspetti del film, è venuto man mano costruendo nel suo periodo inglese un “corpus” di opere in cui le possibilità del cinema sono esplorare senza tregua, dalla ricerca delle angolazioni più icastiche all'illuminazione, dagli esperimenti di montaggio allo sfruttamento del contrappunto visivo-sonoro.
Maestro dell'intrattenimento, questo in primo luogo. Ma poi non è detto che i contenuti, cacciati dalla porta, non rientrino dalla finestra: l'ambiguità delle situazioni, l'incubo dell'innocente perseguitato (non meno angoscioso per il fatto che ha le caratteristiche dei sogni ed è alleggerito dallo humour), il rovesciamento dei ruoli e delle apparenze, la negazione di ogni ottimismo consolatorio, nonostante il “lieto fine”. Sono tutti elementi dei suoi film con i quali bisogna fare bene i conti. Elementi che sono già tutti nell'Hitchcock inglese; la retrospettiva veneziana è stata appunto una conferma che l'Hitchcock americano è ancora quello che fa del cinema in patria, fino all'alba del 1940.