Sono diverse le figure votate a controbilanciare lo spirito del Natale. La più antica è il Krampus (che a onor del vero compare la notte del 5 dicembre, festa di San Nicola), che si aggira minaccioso a punire i bambini cattivi e contro cui viene invocato appunto San Nicola (che come si sa, è la figura “prototipa” di Babbo Natale). Di tempi più recenti è il Grinch, nato dalla fantasia dello scrittore per l’infanzia Dr. Seuss, bizzarro umanoide misantropo, peloso e verde che detesta il Natale, non sopporta che gli altri lo celebrino e fa di tutto per sabotare le Feste. Ma fra i “nemici” del Natale, la figura a cui si rimane più affezionati è ancora Ebenezer Scrooge, nato dal genio di Charles Dickens, oggetto di diverse trasposizioni cinematografiche di cui parla Emanuela Martini in un articolo pubblicato su «Cineforum» n. 320, dicembre 1992. Per quanto ci riguarda, auguriamo a tutti serene Feste di Natale, con una raccomandazione: non aspettate la visita dei fantasmi, per essere felici!
Scrooge, lo sappiamo tutti, è il terribile avaro del Racconto di Natale di Dickens che, dopo aver maltrattato e affamato parenti e dipendenti per tutta la vita, viene visitato dal fantasma del suo socio morto, fa una visitina al mondo arido fatto a sua immagine e somiglianza e, il giorno di Natale, si redime. Il racconto è bellissimo, un esercizio del Dickens più tortuoso negli orrori della povertà vittoriana, negli eccessi macabri della tradizione gotica (il fantasma arriva con tanto di catene e tormenti diabolici), nella psicologia di un grande cattivo, misantropo e solitario. E talmente ricco sul piano narrativo e suggestivo da risultare inevitabilmente impoverito dalla sbrigativa morale che si usa desumerne. Anche i film adattati dal racconto sono molto meglio di quanto non si immagini: uno, A Christmas Carol, diretto nel 1951 da Brian Desmond Hurst, è addirittura magnifico, con Alastair Sim (che misantropo doveva esserlo davvero) bizzoso e truce nella parte di Scrooge. Ma anche la versione del 1984 di Clive Donner (con lo stesso titolo), che non è all'altezza dell'altra, offre a George C. Scott uno dei suoi ruoli migliori degli ultimi anni.
Da non dimenticare poi l'elaborazione disneyana, dove naturalmente l'avaro è Uncle Scrooge (Zio Paperone in originale), redento e generoso con somma meraviglia di Paperino e dei nipotini. Tra l'altro, Walt Disney, quando battezzò il suo vecchio papero avaro andava al cuore del racconto di Dickens: Paperone si converte per paura, esattamente come Scrooge, non per effettiva bontà, e poi torna sempre a lesinare il centesimo, a schiavizzare il prossimo, a rivoltare i vestiti. Non è uno di quei nobiluomini o capitalisti dal cuore tenero (tipo il nonno del piccolo lord Fauntleroy o il tutore di Little Orphan Annie), irrimediabilmente sedotti dal calore infantile. È il calore delle fiamme infernali quello che convince Scrooge a essere meno arido, in una specie di assicurazione per il futuro. D'altra parte, Dickens non è mai stato buono con i suoi personaggi, e il suo Natale tutt'altro che conciliante.
È invece sempre sdolcinato e inossidabile il Natale che ci propone la televisione, tra Re dei re, Campane di Santa Maria e Miracolo delle campane (i miracoli di Bernadette no, di solito passano a Pasqua, insieme all'insopportabile Dialoghi delle carmelitane). Anche se di recente i classici natalizi finiscono quasi sempre a pomeriggio, a notte fonda o sulle private, soppiantati nel prime time dai lustrini e dalle sciocchezze dei programmi contenitori e da qualche campione di incassi delle stagioni precedenti, il risultato della programmazione natalizia televisiva è stato quello di farci considerare esasperantemente “festivi” e concilianti film che invece sono molto belli e complessi o, almeno, intrattenimenti piacevoli e tutt'altro che caramellosi.
Bianco Natale, per esempio, è un musical dove Bing Crosby, Danny Kaye, Rosemary Clooney e Vera-Ellen tentano di ridare smalto (e clienti) a un albergo di montagna passato di moda. Michael Curtiz ha fatto di meglio (anche nel genere musicale, basta pensare a Yankee Doodle Dandy), e tutto finisce un po' in gloria, ma l'atmosfera natalizia non è opprimente e la colonna musicale di lrving Berlin riscatta le stanchezze del film. Una storia di Natale, che Bob Clark ha adattato nel 1983 dalle memorie dell'umorista Jean Shepherd, è molto divertente e tratteggia la vita di famiglia degli anni 40 con molto garbo. Persino Vacanze di Natale, il primo dei Vanzina, è godibile, soprattutto se paragonato agli altri esemplari della serie cui ha dato la stura; almeno faceva ridere e aveva uno straccio di trama. Quanto a Non siamo angeli di Michael Curtiz (da evitare il remake con De Niro e Sean Penn) e Il miracolo della 34a Strada di George Seaton (da evitare la versione colorizzata), rischiano sempre di essere trascurati proprio per “demeriti” natalizi. Invece hanno entrambi una sceneggiatura strepitosa (e alquanto acida) e il sapore ineccepibile del buon vecchio cinema classico. Nel primo, nel calore di un Natale caraibico, tre evasi dall'Isola del Diavolo, Humphrey Bogart, Peter Ustinov e Aldo Ray, si trovano a fare da Babbo Natale per i componenti di una rispettabile famiglia francese, risistemando tutti i loro guai con le loro facce patibolari e i loro modi spicci (che prevedono tra l'altro l'uso di un piccolo serpente velenoso, messo in circolazione ogni volta che un personaggio troppo aggressivo e duro di cuore non scende a miti consigli). Il miracolo della 34a Strada, invece, è quello del vero Babbo Natale (Edmund Gwenn) che, impiegato dal grande magazzino Macy come finto
Babbo Natale, si trova davanti all'incredulità di un ragazzino e deve darsi da fare per convincerlo della propria esistenza. C'è poi una bellissima festa di Natale in Meet Me in St. Louis, il capolavoro di Minnelli, e un Natale molto commovente in Piccole donne, il capolavoro di Cukor (mentre la versione del 1949 di Mervyn LeRoy è così così, più romantica e raddolcita rispetto alla prima, con June Allyson che, per quanto faccia, non regge il confronto con la Jo di Katharine Hepburn).

Ma di gran lunga il classico natalizio per eccellenza, capace di mettere d'accordo i buoni e i cattivi e di far piangere proprio tutti, è La vita è meravigliosa di Frank Capra. Anche qui, attenti alla versione colorizzata, che spande zucchero (rosa, azzurro e giallino) su un film che è invece un'amara tragedia, cui il lieto fine (uno di quei grandi lieto fine di Capra, con tutto il paese che corre ad aiutare il protagonista) non toglie un grammo di malinconia. La storia di James Stewart, che ha attraversato tutta la vita rinunciando ad andare dove voleva (all'università, in luna di miele, in guerra, in viaggio) per il bene delle persone che lo circondano e che arriva sul l'orlo del suicidio in una notte di Natale, ha la tristezza di tutte le altre vite che avremmo potuto avere e non abbiamo avuto. Il suo non è stato un fallimento, gli spiega Clarence, vecchio angelo di seconda categoria che deve salvarlo se finalmente vuole guadagnarsi le ali e diventare di prima classe, e lo porta a vedere come sarebbe stato il suo mondo senza di lui. La vita è meravigliosa è il vero Racconto di Natale del cinema, inquietante e rasserenato nello stesso tempo, è lucido, non bara, non ci vende finta bontà, rassegnazione, alibi.
Se però si fosse incappati in qualche bufala natalizia, tipo L'albero di Natale di Terence Young (storia di un babbo ricco e di un bambino ammalato), La storia di Babbo Natale di Jeannot Swarc (epico disastro con Dudley Moore nel ruolo del titolo) o qualsiasi film con Renato Cestiè, ecco come antidoto una lista di film dove il Natale è veramente cattivo.
Tutta la serie Silent Night, Deadly Night, compreso il terzo, Better Watch Out! che è di Monte Hellman, dove il maniaco agisce travestito da Babbo Natale, ai quali aggiungere Racconti dalla tomba di Freddie Francis, con Joan Collins inseguita dal solito maniaco/Babbo Natale, e soprattutto Un Natale rosso sangue, un bel film canadese diretto nel 1975 da Bob Clark, dove un assassino acquattato in soffitta stermina le ragazze rimaste nella residenza universitaria la vigilia di Natale. Olivia Hussey post Zeffirelli è la vittima buona; ma le ruba sempre la scena la studentessa civetta e malevola, Margot Kidder post DePalma.
Per una cattiveria più di sostanza: Gremlins di Joe Dante, che può anche essere letto come una parodia colta e intelligentissima di La vita è meravigliosa, del quale ricostruisce passo passo l'ambientazione; L'amico sconosciuto di Daryl Duke (ancora canadese), dove agisce vestito da Babbo Natale il rapinatore di banche Christopher Plummer, perfido persecutore del cassiere Elliot Gould che ha cercato di intascare i soldi di una rapina andata male; Regalo di Natale di Pupi Avati, con Diego Abatantuono preso in mezzo in una partita a poker che lo rovina dai cari vecchi amici di un tempo (è l'Avati più cattivo degli ultimi anni).

Due fuoriclasse: L'appartamento di Billy Wilder, dove le feste si consumano tra ipocriti party aziendali e squallidi incontri sessuali e terminano con il ramino giocato da Bud Baxter e Fran Kubelik; e Una poltrona per due di John Landis, con il Babbo Natale più laico della storia del cinema: Dan Aykroyd rovinato e abbrutito che si traveste così per penetrare (durante il solito party) nel suo vecchio ufficio, non resiste alla tentazione di gettarsi (con le mani) sul salmone, viene buttato fuori e mentre sta lì, in piedi nella notte, un cane gli fa pipì sopra.
E se proprio la ferocia di Wilder e Landis non bastasse a inasprire la retorica di un Natale che si è spacciato per autarchico e preoccupato del destino dei diseredati (ma perché le città sono deserte, oggi, 29 dicembre? Sono andati tutti in Somalia?), se avete ceduto all'acquisto dell'albero di Natale e al veglione di Capodanno come la Sally di Harry ti presento Sally di Rob Reiner (che è un film molto intelligente e acuto, la versione per trentenni di Mariti e mogli di Woody Allen), riguardatevi La guerra dei Rose di Danny De Vito: non c'è nessun Natale, ma aiuta a riconciliarsi con se stessi.
