In occasione dell'uscita in sala di Il settimo sigillo di Ingmar Bergman restaurato dalla Cineteca di Bologna siamo andati a frugare in archivio per chiudere in bellezza il centenario del maetro svedese. E guardate cosa è saltato fuori? La scheda di analisi del film scritta all'epoca della sua uscita da Francesco Dorigo sul primo numero di Cineforum quello di marzo/aprile 1961.
Antonius Blok - Sta al centro della vicenda, e la fisionomia di questo personaggio determina un po' tutto il clima del film. Chi è Blok ? Lo sappiamo subito: è un Crociato che ritorna al suo paese e sente d'aver perso la fede. Il suo è quindi un itinerarium mentis in Deum, così come è possibile sia accaduto molto spesso nel medioevo, quando il problema di Dio era maggiormente sentito. Ma Blok ha, pur sotto panni e costumi antichi, una traccia inconfondibile del tempo presente, giacchè c'è in lui il turbamento angoscioso del momento attuale: l'irrazionalismo e la fede, la scienza e la ragione. Egli non crede più perchè vede il suo paese sconvolto dalla peste, oppure la crisi è stata determinata da altro ? Non sappiamo; sappiamo solo che egli va disperatamente alla ricerca di una ragione umana alla esistenza di Dio, e che, di fronte al sublime mistero della Vita e della Morte, egli si avvicina con «timore e tremore» secondo la definizione di Kierkegaard. Solo che per il filosofo danese c'è un modo per superare questo stato: il «salto qualitativo » capace di porci in relazione con la Troscendenza. « lo vorrei sapere. Senza fede, senza ipotesi, voglio la certezza». Ed è questo il conflitto di Antonius Blok; un conflitto però che non viene risolto dal regista, lasciandone in sospeso la soluzione allo spettatore. Ma la verità si intuisce, nella «danzo macabro finale», quando ormai le anime hanno raggiunto le misteriose soglie dell'al di là.
A Blok si contrappone lo scudiero Jöns, il materialista che nemmeno si pone il problema della sopravvivenza dell'anima, perchè ritiene - alla maniera di certi personaggi di Pirandella - che non esista il problema dell'al di là, ma il problema dell'al di qua. Però, sotto sotto, esiste nello scudiero una fede, almeno: la fede nel nulla.
Korin la moglie del Cavaliere è, per contrappeso, il terzo angolo di questo triangolo. Per lei non esistono tortuosi problemi della fede. Per lei la fede è, sic et simpliciter. E lo dimostra, accettando lo morte senza nemmeno opporsi, anzi pensando ad uno soluzione indispensabile, e la manifesta leggendo, dopo cena, il testo dell'Apocalisse che dà il titolo al film: « E quando l'Agnello ebbe aperto il settimo sigillo, si fece nel cielo un silenzio di circa mezz'ora. lo vidi sette Angeli che stanno in piedi davanti a Dio, e furono date loro sette trombe ... » (Ap. 8 - 1/ 3).
Problemi insoluti non hanno nemmeno Mio e Jof, i due guitti. Per loro, infatti, l'unica soluzione al problema dell'esistenza è « lasciarsi vivere » confortati da ciò che la natura offre (delle fragole fresche), e saranno gli unici a salvarsi perchè ambedue, dal punto di vista umano, sono degni di sopravvivere. La loro vitalità non è sottomessa a ragionamenti, e non è nemmeno pura animalità, è soprattutto basata sulla fiducia nell'avvenire e sulla serena accettazione di ogni piccola cosa che la Provvidenza disponga per loro. Gli altri personaggi: Plog, il fabbro, suo moglie Liso e Skot provocano un ripensamento parziale del problema dello morte che per loro è come se non esistesse, tanto sono presi dalle loro piccole beghe, e dai loro istinti naturali. Infine il contorno, che vale per una maggiore testimonianza della vicenda. La follo dei flagellanti, quella dei gaudenti dello taverna, offrono in sintesi il quadro di una umanità che si pone in due diverse posizioni: quella della folla dei flagellanti, che tenta di risolvere la paura attraverso l'aberrazione superstiziosa, quella degli avventori della taverna che si stordiscono sapendo di aver poco tempo ormai a disposizione.
Dall'esame particolareggiato dell'opera di lngmar Bergman sono emerse - dunque - precise osservazioni anche sul contenuto, a meglio sulla tematica incorporata nel linguaggio della espressione cinematografica. Difficoltà, però, di lettura dell'opera può giocare ad un primo esame della stessa, un brutto scherzo. Può darsi il caso che, per esempio, a Il settimo sigillo si voglia dare un significato parziale (quello della ricerca dello fede), mentre, come si è visto, i problemi si intersecano e si inse- guono, senza risolversi in nessun modo. Pare quasi di assistere ad un alternarsi di ombre che si rincorrono, senza mai afferrarsi; ma il problema di fondo, quello dello fede, emerge sempre, in qualsiasi momento e in qualsiasi personaggio. Quale fede? Quella genuina che accetto tutto senza discutere, di Korin, o quella razionale, tirata a freddo, lucida, di Blok ? O quella senza problemi di Mia e Jof, o quella del monaco o del pittore? Un po' l'una e un po' l'altra. Tutto questo testimonia l'ansia di ricerca del suo autore; ma soprattutto testimonia lo spirito con il quale Bergmon si avvicina a questo importante problema. Forse a ragione della sua stessa cultura, forse o motivo di una innata incapacità di accettare lo verità se prima non l'ha discussa, Bergman propone nel suo film il problema di se stesso; che è anche problema che investe l'umanità di oggi. Con tutte quelle sfumature dialettiche fin qui viste, con quelle precisazioni angosciose e quei dubbi insoluti e irrisolti.
Ma Bergman ci suggerisce una soluzione al problema dell'esistenza di Dio. Molto chiaramente, Dio non si può cercare per via razionale, perchè Egli è « il paradosso per eccellenza ll (ed anche qui rientra il concetto espresso da Kierkegaard), perchè è incomunicabile con i nostri sensi e con la nostra intelligenza, ed ha bisogno quindi di un profondo atto di fede, umile e sostanzialmente valido. Perchè, nel colloquio con Mia, Blok sente lo presenza di Dia e non l'afferra, e - dice - « la fede è uno pena dolorosa ». Ma il Crociato avrà la forza di inginocchiarsi dinanzi alla Morte e di pregare, forse questa preghiera salverà il suo animo: « dall'oscurità che tutti ci attornia, mi rivolgo o te, o Signore Iddio. Abbi misericordia, chè siamo inetti e sgomenti e ignari ... Dio, Tu che in qualche luogo esisti, devi certamente esistere, abbi misericordia di noi ll.
Così si chiude il dramma angoscioso di Antonius Blok, cavaliere della fede, dramma che è sentito e sofferto da Bergman, perchè simile al dramma della nostro umanità alla ricerca di un bene perduto.