È andata bene la giornata?

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Lo scorso 8 maggio è stato l'ottantesimo VE-Day, l'anniversario della fine della Seconda guerra mondiale in Europa. L'evento è stato commemorato soprattutto in Gran Bretagna, paese che – lo ricordiamo – fra Dunkerque e la fine della Battaglia d'Inghilterra si trovò da solo a contrastare la follia nazista. Il cinema inglese di quegli anni, soprattutto i leggendari Ealing Studios, seppe rendere con precisione lo spirito di quei tempi e le tribolazioni di persone comuni ma indomite come marinai, pompieri, massaie, tranquilli campagnoli (che diventano questi ultimi, davanti gli invasori, belve feroci come accade in Went the Day Well?, da un racconto di Graham Greene – d'altra parte, come aveva detto Churchill, «We shall fight on the beaches, we shall fight in the fields and in the streets, we shall fight in the hills; we shall never surrender»). Di questi film Ermanno Comuzio ne parlò su «Cineforum» n. 276, luglio/agosto 1988 (sulla scorta di una retrospettiva organizzata da Emanuela Martini per Bergamo Film Meeting) in un articolo che qui riproponiamo.

 

 

«Cineforum» n. 276, luglio/agosto 1988

 

Ealing: i film drammatici

Eventi in atto come fossero già accaduti

 

Ermanno Comuzio

 

Quantitativamente, si sa, i film Ealing di tipo drammatico (intendiamo: melodrammi, film di guerra, storie sociali, fantasy e altro) la vincono sulle commedie, anche se in Italia il marchio Ealing si identifica praticamente con queste ultime. A un certo punto della sua storia, anzi, questa Casa comincia a essere identificata con uno stile che sembra non avere nulla a che fare con l'umorismo della tipica commedia inglese, uno stile come dice Charles Barr in un suo intervento originale per il catalogo di «Bergamo Film Meeting» di attualità, serio, realistico, “documentario” e direttamente legato all'esperienza della guerra.

Noi sappiamo comunque che non ci sono due anime, nella Ealing. Lo spirito che anima i film del periodo (1938-1959) è sempre lo stesso, particolarmente per la produzione del tempo di guerra e di quello immediatamente precedente e seguente. Non è solo questione dell'umorismo che fa capolino qua e là, inevitabilmente, fra una situazione drammatica e l'altra, ma proprio di “basso continuo”, di una parentela inequivocabile che lega tra loro tutti i prodotti di questa Casa. “Salsa Ealing”, insomma, dal sapore ben identificabile e costante.

Tentando una definizione, si potrebbe forse rinvenire questo sapore nella decantazione della materia, nel distacco dall'evento raccontato. “Understatement”, caratteristica nazionale dei sudditi di Sua Maestà Britannica, ma in un senso tutto particolare, di considerazione pacata di quanto sta succedendo in modo da osservare gli eventi in atto come fossero già accaduti. Dunque rappresentazione al quadrato, ossia la maniera di mediare gli avvenimenti ricostruiti sullo schermo raccontandoli più che mostrandoli, mettendoli in scena, per così dire.

Un esempio, per intenderci meglio. In His Excellency, singolare film del I952 diretto da Robert Hamer, si racconta lo scontro ideologico e politico fra il governatore britannico di un'isola dell'arcipelago maltese e i lavoratori isolani in sciopero; in più costui deve tener testa anche a militari e aristocratici inglesi che vedono in lui, ex sindacalista del partito laburista, un esponente delle classi inferiori. Il momento “clou” della vicenda è quando, verso il finale, il governatore butta a mare tutta la diplomazia, rinnega le misure repressive messe in atto dall'esercito e, per risolvere una volta per tutte l'aspro conflitto che oppone gli operai del porto ai datori di lavoro, si reca fra i lavoratori per intendersi direttamente con loro. È accolto a fischi, non lo lasciano parlare, anzi la folla si stringe minacciosa attorno a lui.

A questo punto il racconto si fa indiretto: si passa infatti in una sala del governatorato dove il protagonista, entrato con l'abito strappato e una ferita sul viso, racconta l'accaduto alla figlia e agli astanti. Racconta come i lavoratori l'hanno accolto, come l'hanno preso a sassate, come l'hanno minacciato, e poi come è riuscito a imporsi urlando, lanciando moccoli coloriti, dimostrando di non aver paura, riuscendo così a parlare e a far capire che era solidale con gli operai e che si sarebbe fatto portavoce delle loro istanze. Tutto, così, diventa meno retorico, meno gonfio che se fosse rappresentato in primo grado, diciamo così. Curioso il paradosso che l'enfasi scacciata dalla porta rientri poi dalla finestra nella “recita” che il personaggio fa a chi lo ascolta, quando, infervorato dal racconto, salta su un tavolo e ripete, come da un palcoscenico, quanto ha vissuto: la realtà diventa appunto rappresentazione della realtà.

E il famoso “realismo” degli Ealing Studios? Uno degli aspetti più noti, e più sottolineati, di questa Casa è la continuità di una tradizione gloriosa, quella della scuola documentaristica inglese. Alberto Cavalcanti e Harry Watt vengono dritti dal G.P.O. Unit Film capitanato dal caposcuola del documentario John Grierson; Alexander Mackendrick, che viene dalla scenografia, si è formato in Italia nel campo del documentario; Seth Holt dal montaggio dei documentari di guerra; dal montaggio vengono Charles Frend, Robert Hamer, Charles Crichton; e tutti questi ultimi, più gli altri “giovanotti della Ealing”, sentono fortemente l'influenza di Cavalcanti, che è un po' il loro papà in senso creativo, mentre Michael Balcon è il papà produttivo.

La guerra: il “repertorio” e il “trasparente” - È proprio negli Ealing, non c'è dubbio, che si riversano gli insegnamenti della scuola documentaristica, ossia dell'attenzione scrupolosa alla realtà. Mentre Alexander Korda e John Arthur Rank producono film spettacolari di grosso costo e di tipo “internazionale”, basandosi su storie fantastiche e avventurose, su scenografie fastose, su impiego di masse, la politica della Ealing è quella di confezionare film modesti, girati in economia e destinati a un pubblico casalingo, insomma al mercato interno; tra i suoi scopi conclamati c'è quello di produrre «film di finzione che ritraggono la vita contemporanea della Gran Bretagna nelle diverse sezioni della nostra società, film ambientati negli esterni del paesaggio britannico» (Michael Balcon).

Certo, non c'è solo la Ealing. Per altre Case (sono attive nel periodo considerato la British lnternational, la Gainsborough, la London Films, la Two Cities, la Archers) registi come Carol Reed (Il fuggiasco, Idolo infranto), Anthony Asquith (L 'importanza di essere Ernesto, Tutto mi accusa), David Lean (Breve incontro, Hobson il tiranno) si esprimono attraverso una via tutta inglese di sommesso realismo. Ma poi faranno anche altro, mentre la caratteristica della Ealing è quella di perseverare, di tenersi sempre fedele alla sua visione delle cose, basata appunto sul realismo spicciolo. «Credo che tutti quanti siamo arrivati qui convinti che i film realizzati in Gran Bretagna dovessero essere film assolutamente indigeni, radicati fino in fondo nel terreno del paese. Questa era la vera idea che stava dietro alla Ealing», è ancora Balcon a parlare. E qui indubbiamente risiede la “inglesità” dei prodotti Ealing.

Il “sapore locale” e il senso di vero dominano, in effetti, tutti i film Ealing, anche le commedie. Ma, appunto, con un atteggiamento che ne smussa gli angoli, che ancora guarda alle cose con distacco, con una sorta di superiore saggezza. La Ealing non vuole fare dell'arte, vuol far spettacolo. E questo è sempre evidente nei suoi film, anche nei suoi film più “realistici”, che sono quelli di guerra. Alcuni di essi sono preceduti dall'avvertenza che la vicenda raccontata è basata su fatti reaIi. Reali appaiono, anche se le storie sono sempre romanzate, sempre affidate ad attori, le navi in perlustrazione nel Mare del Nord o nell'Atlantico (Convoy di Penrose Tennyson, San Demetrio London di Charles Frend); le macerie della Londra bombardata di The Bells Go Down di Dearden, film imperniato sui vigili del fuoco volontari di guerra; il villaggio dell'interno di Went the Day Well? di Cavalcanti, storia di una comunità che si difende dall'attacco di una “quinta colonna” tedesca camuffata da reparto militare inglese; la cittadina, e i suoi abitanti, di Frieda di Dearden, storia di una ragazza tedesca, moglie di un reduce, respinta da tutti.

Allo stesso tempo, però, la “rappresentazione” si alterna alla “fotografia delta realtà”. Soprattutto nei film di guerra, dove si assiste a passaggi frequenti fra le due dimensioni all'interno del racconto: tra la finzione e il documentario ricostruito (o i brani di repertorio), e tra la ripresa concreta, tridimensionale (diciamo così) sul “set”, e l'uso del “trasparente”. Sono un continuo entrare e uscire dalla “realtà”, intesa anche come realtà-rappresentata-una-prima-volta, e un continuo ricorso al referente.

Interessante, in questo dominio della “fiction” che si fa passare per verità e viceversa, la presenza della trasgressione. Per la commedia si è detto che i film Ealing graffiano, ironizzano, colpiscono comportamenti e costumi, ma poi quando si tratta di difendere il gruppo e l'etnia, i conflitti interni vengono messi da parte in una ricostituita solidarietà. Anche nei film drammatici questa ironia si esercita abbondantemente. Come momento ilare in un contesto “serio” (in Halfway House di Dearden, storia di fantasmi, un gruppo di gente arriva in una stazioncina del Galles e brontola perché non trova mezzi di trasporto per una vicina locanda, e i ferrovieri si toccano la fronte con l'indice, esclamando con aria di compatimento: «English!») e come momento di definizione aguzza, addirittura di autoanalisi (in I Believe in You ancora di Dearden, storia di un funzionario dell'assistenza sociale ai giovani traviati, il protagonista con tanto di bombetta e ombrello scopre esterrefatto una Londra che non ha mai conosciuto, quella degli “slums”, e ne è turbato).

Talvolta il “graffio” va più a fondo. In Went the Day Well?, citato, la pacifica gente del villaggio passa al contrattacco, quando riesce a organizzarsi dopo aver scoperto che i finti soldati britannici sono in realtà un commando tedesco, con una determinazione agghiacciante, tanto più dopo che ci sono stati descritti come bonaccioni, onesti, tranquilli abitanti (tutti i film Ealing esaltano in fondo la gente tranquilla, che sa vivere alta giornata, frequenta i pub, gioca al biliardo, chiacchiera nei salotti e così via; così come mettono in cattiva luce i “fanatici”, quelli che risparmiano il minuto, che rifiutano il boccale di birra, che pensano solo alla convenienza materiale). Quando gli abitanti del villaggio, fra cui «il vicario, la sua figliola beneducata e bruttina, la telefonista paciosa, il bracconiere stravagante», tutta una fauna da tipico presepe Ealing, «riescono ad arrivare alle armi, nel massacro che mettono in atto, tirano fuori quell'istintualità che la buona educazione reprime e la Ealing generalmente convoglia in una “civile”solidarietà comunitaria. Uccidono senza alcuna esitazione, imbarazzo, con nonchalance incolpevole…» (Emanuela Martini, Catalogo «Bergamo Film Meeting»).

La rappresentazione del rimosso - Altro ritratto impietoso di una comunità è quello tracciato in Frieda, anche questo già citato, in cui le “brave persone” si accaniscono nell'osteggiare la ragazza tedesca, che pure è diventata inglese per aver sposato uno di loro, da lei aiutato a fuggire da un campo di prigionia in Germania. La pittura degli interni familiari è scrupolosa e “calda” come al solito (così come quella dei bar e dei salotti), ma il concetto di “Home Sweet Home” è travolto, in buona sostanza, con determinata ferocia. Frieda è molto interessante anche per altre ragioni: tra gli scopi del film (che è del 1947, la guerra è finita da poco) c'è senz'altro la necessità propagandistica di collaborare con i nemici di ieri, ma il risultato accumula problemi ideologici e sottili questioni intimistiche valide anche oggi, al di là delle disquisizioni sulle diverse Germanie, dei “distinguo” fra tedesco e tedesco (curioso rilevare che, negare il preconcetto «ogni tedesco buono è un tedesco morto», il film utilizzi per dar vita alla protagonista non un'attrice tedesca ma una svedese, Mai Zetterling…).

Un po' più in là e siamo alla rappresentazione del “rimosso”, alla duplice natura dell'inglese represso, all'ipocrisia del puritano inquieto. I film della fantasia, di un “horror” molto contenuto, dalla suspense sottile, esangue (alla lettera), portano sullo schermo proprio queste inquietudini e fanno venire allo scoperto le pulsioni inconfessate. Halfway House di Dearden racconta la storia di una locanda strana, condotta dal proprietario e dalla figlia (gli attori Mervyn Johns e sua figlia, nella vita, Glynis Johns) che a poco a poco si rivelano fantasmi; la locanda è stata distrutta da un bombardamento, ed essi tentano di mettere in guardia i clienti perché l'evento sta per ripetersi. La fatalità delle cose che ritornano, degli avvenimenti che si ripetono, è alla base anche del bellissimo e famoso (inedito anche questo in Italia) Dead of Night, film a episodi strettamente legati fra loro, dei meglio cervelli della Ealing: Cavalcanti, Crichton, Dearden, Hamer. Dead of Night è la storia di un architetto (ancora Mervyn Johns) che, giunto in una locanda, vi trova gente mai vista ma presente nei suoi sogni, e ha premonizioni tragiche. Anche gli altri hanno esperienze strane, nel loro passato, e per confutare lo scetticismo di uno psichiatra raccontano a turno ciò che hanno vissuto. O sognato? Lo stesso protagonista, vive o sogna? E quando torna sul luogo, dopo che le allucinazioni degli altri sono entrate a far pane delle sue personali esperienze, ripete fatalmente un'azione già intrapresa, oppure solo sognata, o è qui che comincia il sogno? Splendidamente avvolto su se stesso, ciclicamente ripetitivo in una coazione a ripetere che vede l'essere umano disarmato di fronte alle sue ossessioni, questa pellicola (che ha tutti i numeri per diventare un “cult movie”, com'è stato di un altro film inglese misconosciuto per un pezzo, L'occhio che uccide) mette in scena, sostanzialmente, l'io nascosto del perfetto uomo britannico con i suoi impulsi sepolti.

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