Il 23 marzo di sessantun'anni fa moriva Peter Lorre. Grandissimo attore, noto per le sue tormentate interpretazioni da protagonista (M, il mostro di Dusselforf) e per le piccole, preziosissime parti da caratterista (Casablanca, Il mistero del falco), negli anni 30 fu anche protagonista di una serie di otto film, nata sulla falsariga di quella più celebre con Charlie Chan ma con alcuni elementi sfiziosi in più ad arricchirla. Elementi incentrati soprattutto sul ritratto dell'eccentrico detective giapponese Mr. Moto che Peter Lorre stesso seppe tratteggiare con la sua arte di ironico cesellatore. In Italia, i Mr. Moto di Lorre passarono direttamente in tv negli anni 80, grazie a un ciclo curato da Nedo Ivaldi (che belle cose sapeva proporre Mamma Rai, un tempo!), e ne parlò Ermanno Comuzio su «Cineforum» n. 244, maggio 1985. Dōmo arigatō, Lorre-san!
Peter Lorre (vero nome László Löwenstein) nasce a Rosenberg, in Ungheria, il 26 giugno 1904. Dopo aver frequentato gli studi a Vienna, a diciassette anni abbandona la famiglia per recitare in una compagnia filodrammatica. Riportato a casa dal padre, è costretto a impiegarsi in una banca ma dopo qualche mese fugge di nuovo per tornare al teatro, recitando in Cecoslovacchia, Svizzera e Germania. Dopo diversi anni di routine, Brecht lo impone come interprete ideale per il suo dramma Un uomo è un uomo, indi Fritz Lang lo vuole come protagonista di M (M, il mostro di Düsseldorf, 1931). In seguito all'avvento del nazismo in Germania, Lorre si rifugia all'estero (famosa la sua risposta all'invito di Goebbels a rientrare a Berlino: «Non c'è posto in Germania per due mostri come Hitler e come me»).
In Francia interpreta Du haut en bas (1934) di G.W. Pabst; poi è negli Stati Uniti, dove interpreta Mad Love (1935) di Karl Freund, film “espressionista” su un pianista cui vengono sostituite le mani, e Crime and Punishment (Ho ucciso, 1935) di Josef von Sternberg, versione del dostoevskiano Delitto e castigo, in cui Lorre è Raskolnikov. Dopo due film girati in Inghilterra sotto la direzione di Hitchcock (la prima versione di L'uomo che sapeva troppo, in cui è lo sfregiato e isterico capo delle spie, e The Secret Agent, ossia Amore e mistero, in cui è un colorito e pittoresco falso generale messicano), Peter Lorre si stabilisce definitivamente a Hollywood. È il 1936. Qui, dopo pochi film, si vede affidato il personaggio del detective giapponese Mr. Moto in una serie di otto film. Interpreta in seguito molti altri film di vario genere, soprattutto in ruoli di “cattivo”. Nel 1941 John Huston gli affida il ruolo di un avventuriero levantino, di volta in volta morbido e spietato, che per alcune caratteristiche fisiche (i capelli ricci, per esempio) ricorda il messicano di Hitchcock (in The Maltese Falcon, Il mistero del falco).
Tra gli altri film più importanti: Casablanca (id., 1942) di Michael Curtiz, dov'è il traffichino dalla nazionalità incerta che viene eliminato dalla polizia perché ricetta messaggi di De Gaulle; The Cross of Lorraine (La croce di Lorena, 1943) di Tay Garnett, Passage to Marseille (Il giuramento dei forzati, 1944) di Michael Curtiz, The Mask of Dimitrios (La maschera di Dimitrios, 1944) di Jean Negulesco, The Conspirators (I cospiratori, 1944) di Jean Negulesco, Hotel Berlin (Hotel Berlino, 1945) di Peter Dofreyn, Confidential Agent (Agente confidenziale, 1945) di Herman Schumlin, tutti film d'ispirazione “democratica”. Del 1946 è Three Strangers (L'idolo cinese) di Jean Negulesco, dal finale hustoniano (infatti Huston è l'autore del soggetto e della sceneggiatura): Peter Lorre, che ha realizzato una grossa vincita con un biglietto della lotteria, constata che non può avvalersi del colpo di fortuna perché ciò comproverebbe la sua responsabilità in un delitto, per cui filosoficamente col biglietto vincente si accende il sigaro.
Intanto, tra un thriller e l'altro, l'attore consente a farsi il verso. Una vera e propria parodia dei suoi criminali sadici è il suo cattivo per burla di Arsenic and Old Laces (Arsenico e vecchi merletti, 1944) di Frank Capra, proemio ai suoi indimenticabili, spiritosissimi personaggi di Tales of Terror (I racconti del terrore, 1961) e di The Raven (I maghi del terrore, 1962) ambedue di Roger Corman: nel secondo, in particolare, i tentativi del povero piccolo mago (costretto a trasformarsi in corvo) per essere alla pari con i due “concorrenti” Vincent Price e Boris Korlojf sono assai divertenti. Personaggi da commedia sono anche quelli da lui interpretati in Beat the Devil (Il tesoro dell'Africa, 1953) di John Huston, in Silk Stockings (La bella di Mosca, 1957) di Rouben Momoulion, in The Sad Sack (Il marmittone, 1957) di George Marshall e in The Patsy (Jerry 8 e 3/4, 1964) di Jerry Lewis, oltre che in Comedy of Terrors (1963) di Jacques Tourneur.
Nella filmografia di Lorre va rilevata anche una sua regia, quella del film Der Verlorene, realizzato in Germania nel 1951, storia di un sadico assassino condizionato dall'ambiente, che si rifà per molti versi a M. Peter Lorre, sposato una prima volta a Cecilia Lovovsky e una seconda a Kaaren Verne, è morto ad Hollywood il 23 marzo 1964.
Il molto onorevole Mr. Moto – Un falso timido - […] Ciò che conta, naturalmente, è il protagonista. Piccolo, apparentemente indifeso, dalle maniere sempre soavi, impassibile di fronte a eventi che scuotono la gente, garbato nel trattare con tutti, anche e soprattutto con la gente semplice, Mr. Moto è il ritratto della riservatezza, anzi della timidezza. Fin dal suo aspetto fisico: la statura è al di sotto della media, gli occhi sporgenti vanno da uno all'altro con espressione sottomessa e interrogativa, gli occhialini con la montatura di metallo gli danno un'aria da professorino introverso. Questi occhiali fanno parte dell'adeguamento di Peter Lorre, di cui si era sfruttata fino allora l'espressione sinistra, al nuovo personaggio: ma bastano pochi accorgimenti per farlo diventare un orientale perfetto: capelli impomatati, spalle imbottite, mani spesso nascoste dai guanti, denti finti (come nei fumetti, i japs devono avere i denti in fuori).
Le sue maniere riguardose, i suoi inchini, le sue doti insospettate fanno breccia in diversi personaggi, mentre in altri non riescono a far superare il pregiudizio razziale. «Questi giapponesi sono proprio degli svitati», è il commento più benevolo, anche se in sede ufficiale (governatori, comandi di polizia, direzioni commerciali) il detective è tenuto in grande considerazione. Alcuni si fermano al comportamento esteriore: «Lei sarebbe un domestico perfetto», gli dice il giovane ricco, figlio del proprietario della linea di navigazione, in viaggio sulla nave di La tigre verde. E infatti in Il misterioso Mr. Moto il Nostro si finge maggiordomo. Più di una volta, come ospite, dimostra la sua bravura nel preparare cocktail (anche se beve, rigorosamente, soltanto latte).
Naturalmente il suo aspetto è ingannevole. Quando è necessario («Ricorro sempre malvolentieri alla violenza», dice) Mr. Moto sfodera la sua preparazione atletica e quando scatta diventa un satanasso: conosce molti colpi segreti, è un campione di judo («Chiamato dagli stranieri, per errore, ju-jitsu» precisa), sostiene corpo-a-corpo indiavolati. Vince anche i lottatori di professione, e si viene a sapere che da studente ha infranto record di salto con l'asta (particolare abbastanza divertente, vista la statura del personaggio).
La doppiezza del personaggio è la nota caratteristica della serie: tutto è giocato sulla dicotomia apparenza/realtà, sia nei confronti dei criminali di turno, i quali si accorgono a loro spese delle insospettate capacità di Mr. Moto, sia nei confronti degli spettatori, i quali sono esilarati dai rovesciamenti. Specialmente quando l'aggraziato detective abbandona di colpo le belle maniere e sfodera una ferocia senza pari, come quando (in La tigre verde) butta a mare uno steward che lo spia per conto di una banda di malandrini (e siamo in pieno oceano, non si tratta solo di un tuffo fuori stagione) o come quando (in Il misterioso Mr. Moto) afferra il “cattivo” della vicenda e, freddamente, lo tiene fermo nel punto in cui dovrà cadergli in testa il pesante lampadario di una sala, come il nostro giapponese ha scoperto: cosa che puntualmente accade, con conseguenze letali per il malcapitato.
Elemento esteriore del trasformismo del personaggio è il travestimento. Mr. Moto è un fenomeno anche in questo. Ufficialmente commerciante d'arte o rappresentante di società d'importazione, si traveste da mercante di tappeti, da cammelliere arabo, da guru indiano (come tale incita un sacerdote fellone a sopprimere Mr. Moto, cioè se stesso), da pittore brontolone e passatista, e persino… da Mr. Moto. Accade in Mr. Moto nell'isola del pericolo, in cui si fa passare come un bandito che usurpa il nome di Mr. Moto (naturalmente per poter continuare a modo suo le indagini).
Tali travestimenti mettono maggiormente in rilievo l'inappuntabilità del suo abito bianco (talvolta è tutto vestito di nero, ma più raramente); anche lo smoking è bianco. Uniche eccezioni alla sua proprietà del vestire sono l'inizio di Il misterioso Mr. Moto, in cui Moto ha la barba lunga (ma è in veste di prigioniero della Cayenna) e l'episodio di Mr. Moto nell'isola del pericolo in cui il nostro eroe penetra nel covo dei contrabbandieri, nascosto in una palude, e ne esce col suo bel vestito candido tutto infangato e spiegazzato. Quando è in “relaxe”, cioè è solo in casa o in camere d'albergo, Mr. Moto indossa sempre il kimono (nero, con ornamenti ritualmente nipponici).
L'ironia meglio della suspense - L'abilità, l'intelligenza, la prontezza fisica di Mr. Moto non nascondono comunque una forte componente ironica nel personaggio. Anch'egli, come Charlie Chan, non rinuncia agli aforismi e ai proverbi, ma in misura estremamente ridotta e dando ai suoi motti il sapore di una presa in giro vuoi della serie del rivale, vuoi della cosiddetta saggezza orientale, vuoi di se stesso (appare chiaramente divertito nell'osservare le reazioni supinamente ammirate di coloro cui gli assiomi sono rivolti). Eccoli, i suoi detti: «Una metà del mondo ride a spese dell'altra metà, e sono pazze entrambe»; «La pazienza è la più utile virtù umana»; «La nascita non è un principio, la morte non è una fine»; «Il modo migliore di evitare i guai è rimanerne fuori» (seguito da una aggiunta che dà pepe alla pomposa ovvietà di questo genere di frasi: «Per questo li mettiamo dentro», riferito naturalmente ai delinquenti). Tutto qui: vi possiamo aggiungere anche la massima scritta «Softly Softly Catchee Monkey», cioè «Per catturare la scimmia bisogna fare pianino pianino».
È qui, in queste cose, che si cela il divertimento di questi film. Non tanto nella “suspense”, non tanto nell'essenza “gialla” delIa scoperta del colpevole (anche se Mr. Moto sembra conglobare in sé i due elementi che, dalla fiaba di Turandot in poi, fanno il perfetto “scioglitore degli enigmi”, la Conoscenza e la Forza), quanto nell'umorismo dei risvolti. Meno efficaci, infatti, appaiono i tentativi “diretti” di fare dell'umorismo, come nel controcanto degli “aiutanti” di Mr. Moto, tanto volonterosi quanto catastrofici, senza parlare del poliziotto tonto (quello di Mr. Moto gioca d'azzardo sbotta, sconsolato di fronte allo smontaggio delle sue tesi da parte del detective giapponese: «Tutte le volte che trovo un assassino risulta che è stato un altro e mi tocca cercare di nuovo»).
Alcune situazioni, piuttosto, fanno scopertamente l'occhiolino all'esercizio della finzione. In Mr. Moto coglie l'occasione sono ripetutamente sfottuti due cineasti che stanno girando un film nella giungla indiana (e vengono incolpati di stregoneria e imprigionati). In Mr. Moto gioca d'azzardo il protagonista fa, degli indizi del delitto su cui sta indagando, materia di lezione agli allievi di una scuola di criminologia (bello l'inizio del film, che si apre con la scoperta di un omicidio, finché la cinepresa, carrellando indietro, scopre che si tratta di una ricostruzione a scopo didattico). Nello stesso film c'è un riferimento alla serie di Charlie Chan, anche perché la pellicola doveva in origine far parte della serie “concorrente”; ma Warner Oland morì durante le riprese e così venne riscritto per Mr. Moto. In tale pellicola, dunque, appare il figlio di Charlie Chan come aiutante (pasticcione la sua parte) di Moto, e porta a quest'ultimo i rispettosi e ammirati saluti del padre.
In Mr. Moto nell'isola del pericolo, poi, c'è un preciso riferimento a un altro film della serie, quando un commissario di polizia avverte che quello di spacciarsi per un criminale è un vecchio trucco del detective giapponese, già usato una volta quando si finse evaso dalla Cayenna (come avveniva in Il misterioso Mr. Moto). Ma il momento più spiritoso ci sembra quello in cui uno dei cineasti di Mr. Moto coglie l'occasione dice, riferito al nostro detective: «Se girassi un film dell'orrore gli farei fare l'assassino». Dati i precedenti di Peter Lorre, e tutto quello che seguirà, chi ha pronunciato questa battuta ha capito tutto.