Come è umano lei…

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Una curiosa coincidenza fa sì che in questi giorni cadano quasi simultaneamente il centesimo e il cinquantesimo anniversario, rispettivamente, del Kotiomkin e del primo Fantozzi. Diventata una vera e propria epopea (sia pure all'incontrario), nonché fenomeno di costume, dei nove film della saga «Cineforum» ne recensì quattro: Fantozzi sul n. 144, maggio 1975, da Bruno Damiani; Fantozzi contro tutti sul n. 201, gennaio 1980, da Tullio Masoni; infine, Fantozzi va in pensione e Fantozzi in Paradiso sul n. 339, novembre 1994, da Demetrio Salvi in occasione delle uscite home video. Non esattamente lusinghiere le prime due recensioni (come è umano lei…), più attenta al côté “sociologico” dell'epopea fantozziana l’ultima, abbiamo pensato di riproporle anche per illustrare l'evolversi dell'attenzione critica verso le disavventure del celeberrimo Ragioniere. Allora che fa ragioniere, batti?

 

 

«Cineforum» n. 144, maggio 1975

 

Film Guida

Fantozzi

 

Bruno Damiani

 

Il ragionier Fantozzi è stato invitato in casa del Direttore dell'Ufficio Raccomandazioni, conte Catellani, suo superiore, per una sfida al biliardo. Sono presenti anche tutti i colleghi d'ufficio e la stessa moglie (signora Pina), una donna decisamente bruttina e insignificante. Seduta in poltrona, sopra un catafalco, domina sovrana la mamma-contessa, alla quale il figlio è tanto attaccato da averle perfino dedicato una statua, installata all'entrata degli uffici della “Super” ditta. Nel mezzo della sala, attorno al tavolo da biliardo, campeggiano (simbolo di ilarità e di riverenza) i due contendenti. Tutti sanno chi dovrà vincere, e lo sa anche Fantozzi. Egli infatti mira, attraverso l'umiliazione della sconfitta, ad appagare le brame di superiorità del potente Direttore e a conquistarsi così un posto migliore all'interno dell'azienda. La claque dei frenetici e sottomessi dipendenti è già in spasmodica attesa di applaudire lo scontato vincitore: e la sfida ha inizio.

Il conte Catellani incomincia a mietere punti e applausi contro un avversario che si direbbe incapace anche solo di sostenere una stecca. Il povero Fantozzi, per il suo voler strafare, diventa in breve lo zimbello di tutti i presenti, nonché il destinatario dell'epiteto di “coglionazzo” che il conto lancia continuamente e sarcasticamente al suo indirizzo. Per lui, tuttavia, è d'uopo tacere, sopportare e prendere atto che questo è il prezzo per la sospirata promozione. Al trecentesimo “coglionazzo” tuttavia, Fantozzi non può fare a meno di volgere lo sguardo dalla parte della moglie: questa, commossa e pallida, piange per l'umiliazione subita dal marito. Fra lo stupore degli astanti, l'imbarazzo della contessa, e la risentita sorpresa del capo ufficio, Fantozzi allora si trasforma, non sopportando che a pagare sia in realtà la moglie, e da vittima sacrificale diventa giustiziere: brandita così la stecca, e messa la maschera della spavalderia, distrugge il suo avversario con colpi da inaspettato campione, e con generose bordate di “coglionazzo” date in restituzione.

È questa solo una piccola sequenza del film Fantozzi, ma indicativa del modo di procedere di questa pellicola, diretta da Luciano Salce e tratta dai due best seller pubblicati presso l'editore Rizzoli da Paolo Villaggio. Una sequenza che ci dice fino in fondo come il film, che avrebbe potuto essere intelligente, in realtà non lo sia diventato, e come, avendo potuto essere satirico, in realtà sia diventato troppo spesso banale. Il luogo della contesa tra Fantozzi e il suo direttore avrebbe potuto essere il luogo, non diciamo ideale, ma certo importante e significativo, per uno scontro metaforico all'interno di un certo mondo. Il personaggio di Fantozzi avrebbe potuto essere, di volta in volta, il perno dialettico attorno al quale far giostrare non solo la figura del direttore, ma quella stessa dei colleghi; e le presenze della contessa-mamma e della moglie avrebbero avuto un loro senso critico se fossero state messe in rilievo le incidenze sociali che queste figure emblematicamente hanno sui personaggi che il film voleva rappresentare.

Un'altra sequenza parimenti indicativa è quella in cui la figlia di Fantozzi, recatasi a fare gli auguri di Natale ai Mega Direttori Naturali, viene da questi derisa e trattata come una scimmia. Anche qui, infatti, l'amarezza di un padre che non potendo fare nulla di fronte a tanta infamia, è costretto a ringraziare i suoi padroni e superiori, non ha nulla di quella carica eversiva che mette in luce sì una accettazione dolorosa di un fatto contro il quale il singolo nulla può per l'occasione, ma anche una accettazione obbligata che si tramuta in presa di coscienza e in rabbia interiore; qui invece tutto si scioglie in una realtà pateticamente amara ma sostanzialmente accettata. Di occasioni perse, tuttavia, è pieno tutto il film, a cominciare dalla sequenza d'inizio, che inutilmente fa sperare in una satira “zavattiniana”, fino a quella finale (con Fantozzi al cospetto del Mega Direttore Galattico) già potenzialmente svuotata di ogni carica satirica e polemica dal precedente incontro di Fantozzi con il contestatore (stereotipato) dell'ultrasinistra.

Andrebbe poi messo il modo con cui si sono voluti abbozzare stilisticamente i personaggi: la pesantezza caricaturale di uomini e situazioni, infatti, trascina la vicenda verso il regno dell'inverosimile, per cui la favoletta del ragionier Fantozzi, lungi dall'avere lo spessore dell'apologo e della metafora, cade semplicemente nell'innocuo grottesco. Ma forse non val neppure la pena di insistere nel parlare di un film che, in un'ora e mezza di spettacolo, non ha saputo darci di buono che alcune barzellette sceneggiate (la partita di calcio fra scapoli e ammogliati, la vacanza in campeggio con il ragionier Filini, la rincorsa al tram, il cenone di fine anno, eccetera) e qualche sciocchezzuola come la cena al ristorante cinese e la vacanza sulla neve in compagnia della “felliniana” signorina Silvani e del fatiscente geometra Calboni. E lo diciamo con sincero rammarico, perché la dovizia di spunti, e l'indubbia capacità fantastica di Villaggio, avrebbero potuto fornire la base per almeno un paio di pellicole di buona fattura. Sarà, speriamo, per la prossima volta.

 

«Cineforum» n. 201, gennaio 1980

 

Filmese

Fantozzi contro tutti

 

Tullio Masoni

 

[…] Fantozzi contro tutti sciorina senza sorprese il ben noto campionario. C'è la corsa ciclistica aziendale, la “settimana bianca” fuori stagione, i megauffici coi megadirettori, poi l'umiliata e offesa vita quotidiana: la figlia scimmiotta, la moglie insidiata da un baldo e cinico fornaio, i colleghi tapini, il vicinato ostile. Invece che la pistola, Fantozzi tiene sotto l'ascella un luccicante telecomando per vincere gare di cambio canale. È uno dei pochissimi segni di riconoscimento, sul piano dell'attualità, in un film ostinatamente atemporale come, d'altra parte, gli altri che lo hanno preceduto. E, come quelli, attacca un episodio all'altro con scarso equilibrio e schemi comici arcinoti e ripetitivi. Una comicità semplice, adattata alla meglio su vecchie regole (diciamo sennettiane per capirci, ma senza malintesi, per carità!), sull'amplificazione di pochi effetti (tonfi, zuccate, cadute eccetera) e sulla residua memoria del personaggio ancora presente nel pubblico non giovanissimo. Eppure tutto il pubblico si diverte, ogni disgrazia che si abbatte su Fantozzi gli fa superare lungaggini, battute sgonfie, monotonia, approssimazioni registiche. Insomma l'impiegato di un tempo è quasi diventato Bud Spencer.

Ma, per restare al film presente, c'è una novità che Villaggio vorrebbe proporre: si tratta di un esplicito e quasi insistito ricorso alla nota patetica. Sia punito Fantozzi per la sua famosa mediocrità, le forze del bene e del male si abbattano su di lui perché l'immensa folla dei suoi simili ne rida, ma, nel casino quotidiano dell'Italia di oggi c'è poi molto di meglio? Fantozzi proclama di essere felice perché ha perso tutto (anche la testa per sua moglie), ma ha poi torto in fondo? Questo sembra suggerire Villaggio, tentando di mitigare la catastrofe con un po' di comprensione per il personaggio. Se di involuzione si deve parlare, questo è il sintomo più grave. Parole grosse, forse, perché Villaggio (che, comunque vada, è ancora meno stucchevole di Pozzetto) può attestarsi finché dura in una zona di rendita tranquilla senza curarsi di sé e della propria estetica.

 

«Cineforum» n. 339, novembre 1994

 

Squarci di cinema

Fantozzi va in pensione

Fantozzi in Paradiso

 

Demetrio Salvi

 

La struttura che ha messo su Villaggio, col suo Fantozzi, fa del concetto di sequel una bagatella: gli americani non riusciranno a stare al passo, continuo e infaticabile, del nostro Paolo. A quale puntata saremo? Ormai Fantozzi ne ha fatte e ne ha vissute di tutti i colori e, prima o dopo, dovrà pur decidersi a tagliare il cordone ombelicale con la sua madre-matrigna azienda. Mondo impiegatizio, quasi pretecnologico se non fosse che, in un episodio di qualche anno fa, abbiamo visto il ragionier Ugo arrabattarsi a fare da parafulmine. Per il resto, il mondo di Fantozzi è meccanico e fisico, pieno di testate nel muro e protuberanze che affondano nel didietro, come a dire che, se la classe operaia è morta, ora c'è qualcun altro da prendere per i fondelli. Ebbene sì. Quasi senza farcene accorgere, Villaggio-Fantozzi continua a parlarci di politica, a modo suo, esagerando ed esasperando tic e difetti di una delle classi più deboli ed esposte alle angherie di chi governa, mostrando volti e situazioni grottesche ma mai false: la realtà è lì, lui tenta, timidamente e mestamente, di mostrarcela. Finisce così che i suoi film risultano più piacevoli se si condivide il gusto nel cercare quali sono i territori rimasti da dissacrare. Lui continua a trovarne. Magari arrampicandosi sugli specchi ma, intanto, in tutti questi anni, a partire dal primo Fantozzi, quello girato da Luciano Salce (si era nel 1975), ha messo in gioco tali personaggi da poter continuare praticamente all'infinito: il ragionier Filini, la moglie Pina, l'orribile figlia Mariangela, il Megadirettore, l'odioso Calboni (suo antagonista rivale in amore), l'irraggiungibile signorina Silvani di cui resterà per sempre vanamente e disperatamente innamorato… Le pellicole di Villaggio, più che col cinema, hanno a che fare con il circo o la fiera (ce lo insegna, in qualche modo, anche l'uso che ne ha fatto Fellini nel suo ultimo film e nel fumetto, Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet, disegnato da Manara, il cui volto del protagonista ha proprio le sembianze d'un Villaggio solo un po' più giovane): la trama, i contenuti, i personaggi e lo stesso mondo fantozziano, tutto si annulla. Rimane il volteggiare delle situazioni, il bailamme delle battute, il deformarsi delle immagini, previo scoprire, poi, che tutto questo è terribilmente politico, terribilmente reale.