Forma geometrica pressoché perfetta, ricchissime di proteine, utilissime in cucina e tradizionalmente associate alla Pasqua, di uova ce n'è di tutti i tipi e per tutti i gusti, dal cioccolato all'omelette, dalle eggs & bacon alle sode o alla coque. C'è l'uovo sodo che il tenente Colombo tiene sempre in una tasca del suo impermeabile, alle volte un caso gli faccia saltare la colazione; l'uovo con cui Morgan, matto da legare, racconta a un esterrefatto poliziotto la dinamica dell'assassinio di Trotzkij; uova detestate da Hitchcock; uova che negli Stati Uniti hanno raggiunto le quotazioni di quelle di Fabergé (tanto da spingere l'attuale amministrazione a pietirle a Danimarca e Veneto, a dispetto degli strali indirizzati prima e dopo ai cosiddetti “freeloader” – mais c'est une autre histoire). Uova che tanto affascinano il candido protagonista del delizioso Uovo di Daniell Daniell, film olandese del 1987 recensito da Francesco Bono su «Cineforum» n. 292, marzo 1990. Ah, un'ultima cosa: Buona Pasqua a tutti!
La scena di Uovo è un piccolo, tranquillo villaggio, poche case, pochi abitanti che si conoscono l'un l'altro avvolto fino all'orizzonte, dovunque l'occhio vaghi, dal verde della campagna. Il villaggio non ha nome, ed è improbabile che lo si trovi segnato su una cartina geografica: è poco più che un qualche punto in qualche luogo, non diversamente dalla nordica Pervola circondata dalle nevi impossibile meta dei fratelli Oyen, o dalla casa cantoniera tra lande desolate di Lo scambista. Geograficamente indeterminato, il villaggio di Johan de Bakker è temporalmente altrettanto e similmente ai luoghi dei film di Seunke e Stelling indeterminabile: niente vi è nel film di Danniel Danniel che indichi un giorno, un mese, un anno.
In un certo qual modo il villaggio è per Johan e gli altri abitanti come il centro di un universo non ancora sconvolto dalla rivoluzione di Copernico, e la piazzetta dove Johan siede assieme agli amici a guardare la corriera arrivare e ripartire, gettando sassolini sul selciato, è il veritiero ombelico del mondo: tutto ciò che accade in Uovo accade nello spazio lindo e ordinato tra questa, la panetteria artigianale di Johan e la sua casa, dove vive con la madre. Né Danniel Danniel vuole mostrare altro, anzi ha cura che la macchina da presa non sfugga a guardare oltre e la guida consapevolmente a delimitare con accuratezza i confini della propria storia, per racchiudervela e proteggerla, in uno spazio che è il solo dove questa fiaba possa vedere la luce, acquistare un ragionevole diritto e un senso non volgare, e terminare con il lieto fine che si impone. A questo scopo Danniel Danniel percorre e ripercorre con reiterate inquadrature (utilizzando innanzitutto campi medi e lunghi, piuttosto che particolari e primi piani) la piazzetta, la panetteria di Johan e la sua casa: questi sono come i tre punti di un'ideale geometria del racconto, vertici di una figura congiunti dalle linee quotidianamente tracciate da Johan, la madre e gli amici, per disegnare e circoscrivere così i luoghi per i personaggi che sono in scena.
Il fanciullo - In questo villaggio di campagna senza un nome e senza tempo vive dunque Johan de Bakker, che in olandese vuole dire panettiere, e come accadeva spesso in un'epoca lontana, il cognome già ne indica la professione. Johan ha su per giù trentacinque anni e il suo lavoro lo sa fare bene, ma nell'animo è sempre rimasto un fanciullo. Suoi fratelli in carattere e destino sono davvero gli altri eroi (o piuttosto: antieroi) non cresciuti dei film di Lo scambista Stelling e Abel van Warmerdam. Come Abel che, al suo trentesimo compleanno, non è giammai uscito di casa, Johan vive ancora in famiglia, senza averne né desiderarne una propria; da sempre trattenuti e protetti in uno spazio circoscritto (l'appartamento per l'uno, il villaggio per l'altro). nell'animo di Johan e di Abel il timore per l'ignoto geografico sembra intrecciarsi, sovrapporsi e infine coincidere col timore per l'ignoto temporale: oltre la soglia del villaggio o la porta di casa non si è più al sicuro, non si può più restare bambini. A un passo dall'età adulta, anche Abel, Johan e lo scambista hanno sognato il sogno di Peter Pan, e come il piccolo, ostinato tamburino di Günter Grass non hanno voluto crescere più. I giorni di Johan passano tranquilli, l'uno simile (identico) all'altro, a quello che è preceduto e a quello che seguirà.
Nessuno ha fretta nel villaggio, non ci sono né calendari, né orologi a scandire con imperio, e forzare le azioni degli abitanti. Di stagione in stagione nella sua casa cantoniera lo scambista aziona ritmicamente leve e scambi ferroviari, cosi Johan ogni mattina a colazione mangia con gli stessi gesti l'uovo alla coque che la madre gli prepara, finanche a ripetere quel tic di disegnare con i frammenti di guscio una solita coroncina sulla tovaglia: anche la ripetizione offre sicurezza (e Danniel Danniel mostra identiche scene con identiche inquadrature), crea un universo familiare, accumulo di azioni e parole (e forse anche pensieri) già noti prima che possano avere luogo o essere pronunciati: nel villaggio i giorni si susseguono ai giorni, divengono settimane, mesi e anni senza che nulla soggiaccia a cambiamenti.
Il villaggio di Johan non sta sulle esatte e particolareggiate carte della civiltà occidentale positivista, né dunque possiamo volere che coincidano i criteri del giudizio: tranquillo e abitudinario (aggettivi della vita di Johan) non necessariamente qui implicano noia o tristezza, né vogliono dire routine – questo famigerato vocabolo delle società industriali e post –, né il silenzio diviene forzatamente sintomo o causa di solitudine e incomunicabilità – altra abusata parola di oggi; l'ingenuità e la semplicità (tratti del carattere di Johan) sono nuovamente valori, senza il rischio di essere confusi, scambiati o irrisi per stupidità. Johan non sa leggere né scrivere (comuni qualità dell'uomo occidentale), ma sa come sfidare le leggi di gravità: conosce piccoli esercizi di equilibrismo, per esempio costruire nei prati improbabili e miracolose torrette ammucchiando l'uno sull'altro ciottoli di diversa forma e misura. Un passatempo curioso e singolare che richiede un'abilità certo particolare. Abitante di un villaggio tolemaicamente orgoglioso e sufficiente a se stesso, Johan non mostra alcuna curiosità e non prova interesse per ciò che accade al di fuori, nei buitenlanden.
A collegare il villaggio al mondo restante sono solamente la posta, con cui arrivano anche i giornali, e la corriera che ogni giorno si ferma nella piazzetta senza che mai nessuno ne scenda o vi salga (eccetto una vecchietta che di tanto in tanto parte e ritorna), giacché i compaesani di Johan provano un sincero disinteresse per i buitenlanden. Ma un giorno da un annuncio sul giornale Johan inizia una corrispondenza, e una mattina dalla corriera…
La donna - La scuola olandese spesso predilige storie di uomini – che non per questo vanno credute storie macho e virili, anzi tutt'altro – e si sofferma a indagare e mettere in immagini i loro rapporti: uomini che sono l'uno lo specchio/l'opposto dell'altro (Il sapore dell'acqua), e talvolta legati da vincoli di sangue fraterno (Pervola), finanche ambiguamente e morbosamente gemelli (Il giardino delle illusioni). La donna quando vi appare non ha che due ruoli da vivere, ma la sua presenza è inevitabilmente drammatica: ella è o madre o amante. La madre e l'amante sono ai due estremi della linea della vita del fanciullo, due opposti poli tra i quali il suo animo è teso: la madre gli ha offerto la vita, l'amante gli offre il desiderio, e la madre sa che perderà il figlio-fanciullo a causa di lei.
[…] La donna è mistero per il fanciullo, ed estranea al suo universo dalle dimensioni di un punto: villaggio, appartamento o casa cantoniera. La donna è sempre nelle storie della scuola olandese oltre il confine di ciò che è noto: ella non può che venire dai buitenlanden, da quei luoghi nello spazio e nel tempo di qua dai quali Johan, Abel e lo scambista sognando il sogno di Peter Pan si sono trattenuti. Inaspettatamente, improvvisamente forse desiderata inconsciamente, ma al contempo temuta la donna irrompe nel racconto e nella regolare e tranquilla vita del fanciullo: durante una bufera di neve, scesa da un treno che mai lì si sarebbe dovuto fermare lo scambista incontra la donna dal mantello e dal rossetto rosso fuoco. E identica è la scena (dove al treno Danniel Danniel sostituisce la corriera) che segna in Uovo l'arrivo nella piazzetta della donna con cui Johan corrispondeva d'amore.
Tutto era iniziato per gioco (più dell'amico Paul invero che di Johan), ma via via le lettere d'amore della donna avevano svegliato in Johan per la prima volta il desiderio. Finché si scrivevano Johan la sognava, la immaginava, la desiderava, eppure alle sue proposte di conoscersi si era sempre opposto. Ora la donna venuta da lontano e dall'ignoto è entrata in scena a sorpresa, ad allettare e sedurre (quasi a sfidare) Johan il fanciullo a varcare la soglia dell'adolescenza, ed entrare nel mondo degli uomini. Lei è la donna (con la maiuscola anche, ad incarnare l'universo femminile tutto), la prima donna (per Johan e per il villaggio quasi) e non a caso il suo nome riecheggia nel mito biblico: Eva.
Johan è spaventato: sa che ora niente può essere più come era, tutto necessariamente sarà diverso. Nella reazione di Johan si specchia la reazione dello scambista in quella notte d'inverno: innanzitutto diffidenza e timore. Johan guarda Eva scendere dalla corriera e la segue con sospetto: la donna è un corpo estraneo nella quiete del villaggio, un disturbo nei giorni dai gesti sempre uguali che divengono mesi e anni, un rischio certamente, forse un pericolo. Eva lo cerca e giunge alla sua casa, si presenta alla madre che tacendo la lascia entrare. Johan alle sue spalle ha sentito e capito, il suo sguardo s'incrocia con la madre, e Johan fugge. Tra Eva e Johan (ovvero lo scambista) è la collisione di due mondi: il villaggio e i buitenlanden. La donna è il nuovo, il diverso, ciò che potrebbe spezzare la ripetizione (di parole, azioni, pensieri) che offre sicurezza al fanciullo, e Johan {ovvero lo scambista) per questo ne ha terrore. Alla seduzione del desiderio il figlio-fanciullo oppone strenuamente il proprio rifiuto per difendere l'universo in cui è re.
La fiaba - […] Uovo inizia davvero così, fuori dalla cronologia dei nostri orologi e dalla legenda delle nostre cartine, come una favola – c'era una volta (quando?)… in un luogo lontano lontano (dove?)… – per narrare una storia come sempre d'amore, tra un panettiere e una donna di un regno misterioso. Ma nella fantasia dei sogni desiderati a occhi aperti da Johan ed Eva, la realtà si trasfigura e i due eroi dal cuore che batte forte assumono le giuste sembianza che tutte le fiabe esigono: lei vede lui come un cavaliere senza macchia né timore sul suo destriero bianco, lui vede lei come la vaga donzella trepidante, bisognosa di salvezza…
[…] Lontano dall'esasperazione di Abel e Lo scambista, Danniel Danniel racconta la storia di Uovo in modo dimesso, nello spazio a misura dei personaggi (né angusto, né sconfinato) che è il villaggio, nei colori tenui delle linde casette gialline e del verde della campagna circostante, sotto la volta di un cielo sempre azzurro, in una luce viva e tersa. Ed evitando con cura sia il drammatico sia il comico, sospinge il racconto verso il suo lieto fine necessario, come in ogni favola che si rispetti, alla ricerca di un sorriso umano che lo spettatore tributi al fanciullo e alla donna (frammenti del suo stesso animo, pur se talvolta negati), di un segno della sua sincera simpatia – etimologicamente: conformità nel sentire.
Forse è affinché nulla intervenga realmente a infrangere il sogno di questa storia d'amore con happy end, che in Uovo conflitti e tensioni dell'animo (sebbene certo presenti) restano solamente accennati, appena a sfiorare la superficie delle immagini, lasciando che nel regno del non detto ne siano celate le origini intime: cosi è per il rapporto tra il figlio fanciullo e la madre, e così per l'incontro e temporaneo conflitto tra Johan ed Eva. In Lo scambista questo si tinge fatalmente dei colori del sangue e della morte (del postino prima, dello scambista infine), in Uovo lo scontro tra gli opposti universi del fanciullo e della donna si consuma nell'immobilità e nel silenzio del pranzo familiare: lei accenna una conversazione, lui le impone di tacere, ché questa è la vita nel villaggio. Eva comprende che mai il mondo di Johan potrà divenire il proprio, e si appresta a ripartire. All'arrivo della donna segue, speculare all'ultima scena di Lo scambista, la partenza: la corriera sulla piazzetta con il motore acceso, Eva sola che vi sta per salire, Johan e gli amici sulla panchina, come sempre, a gettare sassolini. Ma Eva vi si avvicina, raccoglie un ciottolo e si unisce al loro gioco. La donna, corpo estraneo, si è integrata all'universo del villaggio. Ora il lieto fine è possibile: Eva resterà e sposerà Johan (l'amante diverrà dunque madre a sua volta), e la favola si è compiuta.