Di lei, Graham Greene scrisse: «Miss Highsmith è la poetessa dell’apprensione piuttosto che della paura. La paura dopo un po’ di tempo è narcotica; con l’apprensione dobbiamo imparare a conviverci». Patricia Highsmith, nata il 19 gennaio di cento anni fa a Fort Worth, Texas, e cresciuta a New York, esordisce come romanziera nel marzo del 1950 con Strangers on a Train (Sconosciuti in treno), subito acquistato da Alfred Hitchcock per l’omonimo film del 1951 (in Italia L’altro uomo o Delitto per delitto). Amata da molti registi (Wim Wenders, L’amico americano; Claude Chabrol, Il grido del gufo; Michel Deville, Acque profonde), è la creatrice di Tom Ripley, eroe/antieroe che, più che immorale o amorale, ha semmai messo la morale fra parentesi quadre in favore di un curioso pragmatismo criminale, e che al cinema ha trovato il volto più convincente, a detta della stessa scrittrice (e ci troviamo d’accordo con lei), nell’Alain Delon di Delitto in pieno sole (Plein soleil, 1959) di René Clement. A proposito dei legami tra la scrittrice e il cinema, vi proponiamo il Flashback di Leonardo Gandini su L’altro uomo o Delitto per delitto di Alfred Hitchcock, pubblicato sul n. 307 di «Cineforum», del settembre 1991.
Nella lunga e travagliata storia dei rapporti tra cinema e letteratura, Strangers on a Train (L’altro uomo o Delitto per delitto, 1951) costituisce un caso piuttosto interessante, che chiama in causa non soltanto – come è avvenuto spesso – uno scrittore e un cineasta di chiara fama, ma anche un altro romanziere, Raymond Chandler, la cui incompatibilità con Hitchcock e con il soggetto della Highsmith sono state oggetto di documentate indagini. Di solito, in questi casi i conflitti di personalità tra diverse sensibilità artistiche hanno un solo grande sconfitto – il film: basti pensare, in tempi recenti, a quel rimarchevole esempio di ibrido cinematografico che è Hammett, paralizzato e irrigidito dal fatto di non appartenere del tutto né allo stile del suo autore (Wenders), né a quello del suo produttore (Coppola), e di essere tratto da un romanzo che è scritto “alla maniera di” Hammett, ma non da lui. I compromessi insomma possono giovare a mantenere la pace sul set, ma vanno necessariamente a discapito del prodotto finale. Se Strangers on a Train è un film eccelso, i meriti vanno dunque esclusivamente ascritti a Mr. Hitchcock, capace al momento opportuno di sbarazzarsi senza troppi scrupoli di uno sceneggiatore inadeguato a quella storia (fece lo stesso qualche anno più tardi con Evan Hunter, durante l’elaborazione dello script di Marnie) e di trarre dal romanzo – con uguale spirito pratico – solo l’essenziale, quello che più l’attirava.
A François Truffaut Hitchcock ha dichiarato: «L’altro uomo non è un film che mi è stato proposto, ma un romanzo che ho scelto. Era materiale che andava bene per me». Nella sua biografia sul cineasta britannico, John Russell Taylor ha d’altra parte fatto notare che – a dispetto delle perplessità espresse da alcuni sceneggiatori da lui interpellati – al regista il succo della vicenda «pareva chiarissimo. Si tratta di uno scambio di delitti, e perciò di uno scambio di colpe». Affermazione sin troppo sintetica, e in parte confutabile. Per entrare nel cuore del film, è necessario infatti domandarsi che cosa a Hitchcock del libro della Highsmith non è piaciuto, al punto da ritenere opportuno una rimozione o contraffazione di alcuni dati di par tenza. In altre parole, capovolgere la consuetudine prediletta dagli studiosi delle relazioni tra grande schermo e pagina scritta, che si affannano ad individuare i denominatori comuni tra romanziere e regista, perdendo di vista quel prezioso momento in cui – come le rotaie nella sequenza iniziale di questo film – i percorsi espressivi progressivamente si disgiungono e prendono direzioni autonome.
Leggendo il romanzo, si vengono progressivamente ad evidenziare due elementi cruciali trascurati da Hitchcock: il protagonista Guy Haines è un architetto, non un giocatore di tennis; lo scambio di delitti avviene effettivamente, in quanto egli, cedendo alle pressioni di Bruno, finisce per uccidere suo padre. La professione attribuita da Hitchcock a Guy ha un ruolo fondamentale nell’economia del film. Il tennis è un gioco preciso e schematico, apparentemente simmetrico ma in realtà marcato da una disparità di partenza. In esso tutto è speculare, tranne l’azione dei giocatori: infatti uno solo di essi è impegnato nel gioco – quello nel cui campo si trova la pallina – mentre l’avversario rimane in attesa del proprio turno. Questo aspetto finisce per essere occultato da una serie di fattori collaterali, in primo luogo dall’atteggiamento del pubblico, che volta con ritmo regolare la testa per guardare alternativamente solo un giocatore, e poi da una serie di tracce simmetriche (le righe, la rete, l’abbigliamento rigorosamente bianco – almeno ai tempi di Hitchcock) che fanno pensare ad una coincidenza nei gesti degli atleti. Coincidenza puntualmente smentita, come abbiamo visto, dalle regole del gioco.
In Strangers on a Train il tennis, così come nella sequenza iniziale l’improvvisa divergenza delle rotaie, si fa metafora dell’elemento centrale del film, che ruota appunto intorno al concetto di simmetria interrotta, incompiuta. Era questa l’idea che aveva affascinato Hitchcock, e che nel romanzo troviamo solo nella prima parte, quando lo scambio di delitti sembra configurarsi come uno scambio mancato: al delitto di Bruno non corrisponde inizialmente nessuna azione criminosa da parte di Guy. Si spiega così anche la seconda rilevante differenza tra libro e film: in Hitchcock il delitto rimane uno (numero dispari), e l’inquietudine che attraversa la vicenda è determinata in gran parte da questa spiacevole sensazione di incompiutezza: il giocatore di tennis manda la pallina nell’altra metà del campo, ma intanto l’avversario si limita a guardare, impassibile e fermo.
Nella loro celebre monografia dedicata al regista, Rohmer e Chabrol dimostrano come la grandezza di Hitchcock risieda nella sua straordinaria capacità di tradurre le idee in Forma, in Figura. L’autore «Si dedica alla costruzione, lasciando allo scoliaste il compito di stabilire il filo ingrato della dimostrazione». Come e più che in altri suoi film, in Stranqers è possibile trovare l’idea base disseminata nel corso della storia, così come la abbiamo vista introdotta dal motivo delle rotaie che si disgiungono. Ancora una volta, veniamo confortati nella nostra ipotesi dal fatto che gli elementi presi in esame non compaiono nel libro della Highsmith: un’altra simmetria mancata, che in un certo senso precede e ingloba tutte le altre.
Sul personaggio di Bruno l’ossessione della simmetria e l’impossibilità di raggiungerla hanno l’effetto di una maledizione, di un morbo che finirà per ucciderlo. Quando Guy gioca a tennis, Bruno rifiuta l’alternanza dello sguardo tipica dello spettatore e – in mezzo ad una miriade di teste che si voltano ritmicamente – riesce soltanto a fissare colui che davvero lo interessa. Nella sua mente si fa progressivamente strada una sovrapposizione tra i volti di Miriam e di Barbara, dettata dal fatto che entrambe portano gli occhiali: associazione che lo turba al punto da stravolgerlo, appunto perché una semplice somiglianza tra due ragazze nella sua immaginazione tende subito all’identità, alla simmetria, senza tuttavia potersi concretamente configurare come tale, visto che Miriam e Barbara sono in realtà due persone diverse. Le immagini non si limitano a registrare l’associazione delirante di Bruno, ma in un certo senso la preparano, la incoraggiano, fanno in modo che lo spettatore la condivida: sin dalla prima sequenza in cui appare Barbara, il volto, il tono e la statura della ragazza ci inducono ad un accostamento che viene rafforzato nel momento in cui lei – parlando con la sorella della “brutta fine” di Miriam – si toglie gli occhiali, riportandoci con la mente all’attimo nel quale, aggredita da Bruno, la moglie di Guy perde la sua montatura. Hitchcock costruisce qui una analogia per poi buttarla in pasto a Bruno, che subito la stravolge al punto da farla diventare qualcosa di più intenso, che tuttavia non regge alla prova dei fatti. Del resto anche gli occhiali di Miriam, raccolti da Bruno con una lente spezzata, ribadiscono il concetto di un rapporto simmetrico tra due parti – in questo caso quelle degli occhiali – che non riesce a dispiegarsi nella sua forma compiuta nemmeno negli oggetti.
Naturalmente, la mancata corrispondenza che più indispettisce Bruno è quella tra i due delitti, uno dei quali rimane allo stadio potenziale. Nel romanzo la Highsmith descrive in modo sottile e dettagliato il processo psicologico che porta l’assassino a concepire il suo piano delittuoso («Da parecchi giorni stava rimuginando un’idea, la più fantastica e insistente che avesse mai avuto: era come un enorme tronco di noce tra le zampette tremanti di uno scoiattolo»), mentre per Hitchcock l’essenziale è dimostrare come Bruno cerchi nell’assassinio “solo” un pretesto per sentirsi uguale a Guy, sullo stesso piano di un uomo famoso e di successo. Secondo Truffaut, il film «assomiglia decisamente ad un grafico», dove è riscontrabile «una situazione forte con dei personaggi stereotipati», mentre lo stesso Hitchcock gli faceva osservare che «il grosso problema in questo genere di film è che i personaggi principali hanno la tendenza a diventare semplicemente dei simboli». In effetti, il fascino di Strangers risiede appunto nel progressivo delinearsi di due traiettorie umane che si fanno sempre più impersonali, quasi che l’importanza delle azioni finisca per mettere definitivamente in ombra i motivi di chi le compie: da un certo punto in poi, i due protagonisti sembrano obbedire – nei loro comportamenti – soltanto ad una sorta di logica geometrica, che mira appunto a stabilire il principio di un rapporto quasi simmetrico.
In Guy, questo principio assume la sembianza di una disparità di vedute con interlocutori che dovrebbero apparentemente avere la sua medesima opinione, ma che poi all’ultimo momento non si rivelano in sintonia con lui: ci si aspetta che Miriam convenga sull’opportunità del divorzio, ma la donna non lo fa; ci si aspetta che il professore di matematica confermi la sua presenza in treno, ma questi ammette di essere stato ubriaco, e di non ricordare più niente. Non importa qui tanto la consistenza dei motivi che stanno dietro a questi comportamenti, quanto il fascino ipnotico determinato anche da una serie di affermazioni che sembrano destinate a sovrapporsi armonicamente, e che invece prendono all’ultimo momento strade divergenti, obbedendo a un principio che esula dalle necessità della verosimiglianza. Quando, rispondendo a Truffaut in merito alle rotaie che si separano, Hitchcock afferma: «Non è un disegno affascinante? Si potrebbe studiarlo molto a lungo», le sue parole rappresentano anche una sorta di commento indiretto alle suggestioni che sono alla base del film.
Nel finale, Hitchcock porta all'apoteosi la sua labirintica costruzione di false simmetrie. Dapprima il montaggio stabilisce una corrispondenza tra due azioni apparentemente molto diverse: Guy gioca con frenesia il suo match, mentre Bruno in tutta calma esce di casa e si avvia a prendere il treno per Metcalf. Poi vediamo l’accendino cadere nella grata, e di colpo i due personaggi si trovano a fronteggiare due situazioni uguali, in cui la lotta è contro il tempo, ed è affidata alla forza delle loro braccia (per vincere l’incontro, per recuperare l’accendino). Quando già tutto sembra preludere ad un arrivo affannoso e pressoché contemporaneo sul luogo del delitto, ecco che l’analogia si interrompe per lasciare il posto ad una nuova divergenza: Bruno risolve rapidamente il suo problema e giunge nel luna-park con ampio anticipo, mentre Guy subisce la rimonta dell’avversario e viene sempre più attanagliato dal timore di arrivare sull’isola troppo tardi. L’estrema convergenza avviene quando Bruno, che nemmeno in punto di morte ha rinunciato alla tentazione di specchiarsi nell’amico-rivale, tenta con la sua falsa confessione di trascinare con sé Guy nella disfatta. Tentativo destinato a cozzare contro il rilassamento post mortem dei suoi muscoli, contro il fascino di mr. Hitchcock per le rotaie che divergono e contro la consumata abilità di Guy nell’unico gioco in cui alla contesa dei punti più determinanti è stato dato il nome di tie -break...