Spesso al cinema non è facile parlare d’amore senza parlare anche di sesso, ma a volte è ancora più difficile il contrario. E cioè fare un film d’amore usando il sesso come movente del racconto e come veicolo per mostrare i sentimenti.
Gaspar Noé ci riprova con Love, non riuscendo però a far bene né l’una né l’altra cosa. Ovvero a presentare un’opera nella quale alla solita prurigine e al solito sottobosco moralista, uniti ad un’ineffabile esibizione del sesso senza censura – del quale sono contornati molti dei suoi film –, si accompagni anche un occhio che spinga la riflessione oltre l’intensità di un amplesso o al di là di un godimento puramente voyeuristico.
Love è un film a tesi nel quale l’intenzione di narrare la fine di un amore andando a scandagliarne le origini e ad analizzarne le vulnerabilità, si riduce a una banale esplorazione del conflitto fra i sessi e del rapporto fra ragione e desiderio. Il sesso infatti, che nel film è tanto ed esplicito, è funzionale al racconto solo fino a quando quest’ultimo si limita a mettere in scena un’ordinaria storia di corna, tradimenti e litigi fra innamorati.
La coppia protagonista, la cui storia d’amore è raccontata à rebours, sperimenta ogni genere di perversione sessuale: dal sesso a tre con un’altra ragazza a un’orgia all’interno della dark room di un sex club fino a un rapporto con un transessuale. Ma ciò che decreta la separazione definitiva è un tradimento di lui che, per pura sfortuna, finisce per mettere incinta una partner occasionale.
La sperimentazione sessuale e la tematizzazione del sesso quale elemento che sta al centro del rapporto a due, in questo modo finiscono per porsi di traverso ad una costruzione borghese della coppia – vivere insieme, formare una famiglia, essere fedeli – alla quale evidentemente i due protagonisti aspirano. E appare piuttosto chiaro come il pensiero reazionario che, insieme a una buona dose di moralismo, Noé tenta di scacciare dalla porta, rientra rapidamente dalla finestra. Perché l’amore che sta nel titolo e del quale il film intenderebbe essere una parabola in qualche modo archetipica, per tutta la prima parte è mostrato solo come un ostaggio del possesso e del desiderio. Cosa che di per sé sarebbe tutt’altro che sbagliata o superficiale. Specialmente se la riflessione si spingesse ad approfondire questo tipo di idea.
Nella seconda parte, invece, possesso e desiderio (chissà perché connessi esclusivamente al personaggio maschile), vengono individuati come i virus che avvelenano la coppia e che vanno assolutamente estirpati. Ma se tali virus sono evidentemente impossibili da curare e portano a una rottura che è inevitabile, è proprio perché mal si conciliano con la possibilità di rendere il rapporto completo, laddove iconograficamente e idealmente tale completezza coincide – nell’universo pratico e ordinario di Noé – con l’idea della messa al mondo di un figlio.
Resta il sospetto che, in un film dove ogni tentativo di problematizzazione dell’analisi della coppia viene meno, in fondo più di tutto a interessare al regista sia la rappresentazione del sesso. Ma anche qui, pur dando adito a Noé di non aver alcun tipo di remora nel mostrare la nudità e i rapporti sessuali senza censura e soprattutto senza alcun tipo di vergogna e pudicizia (come peraltro in tutta la sua cinematografia), resta il sospetto di un approccio alla raffigurazione della sessualità piuttosto artificioso.
Se da un lato è evidente l’intenzione di scostarsi da un immaginario puramente pornografico (e non siamo convinti che aderirvi, invece, sarebbe stata una cattiva scelta), è altrettanto facile capire che non vi è alcun tipo di interesse a trattare la materia dal punto di vista del realismo. Anzi i corpi degli attori, spesso inquadrati dall’alto e a figura intera e quasi sempre bellissimi, sanissimi e pulitissimi – oltre che giovani – si contorcono e dimenano uno sull’altro in una configurazione che definire di maniera è quasi riduttivo. Non solo mancano il sudore e l’odore che i corpi di due amanti impegnati nell’atto sessuale emanano, ma anche tutto il côté di impudicizia a cui il sesso – specialmente quello che il film mostra – inevitabilmente rimanda.
Convincendoci anche che l’uso del 3D non sia altro, per Noé, che un espediente per radicalizzare in maniera ancora più estrema un’estetizzazione che, a più riprese, si tramuta in puro e semplice voyerismo. Oltre che un modo per operare una vera e propria canzonatura, come nel momento della prevedibile (e piuttosto banale) eiaculazione “in faccia” agli spettatori. Che a ben vedere resta uno dei passaggi più godibili del film. Ed è il caso di accontentarsi, dato che altro da segnalare - comprese la provocazioni sbandierate dai manifesti promozionali - purtroppo non c’è.