Come si racconta il presente? E prima ancora: come lo si individua? Quali sono i suoi confini? Che forma ha? Quale immagine?
Jia Zhang-ke sembra voler rispondere a quesiti come questi con Caught by the Tides. Un film che non somiglia a niente di quello che ha fatto finora, ma che allo stesso tempo è fatto di tutti i suoi film precedenti. Ciò che il regista mostra infatti, in una forma completamente antinarrativa, è un insieme di immagini – alcune prese da materiale di scarto dei suoi vecchi film, altre girate amatorialmente da lui in svariate occasioni durante gli anni, altre ancora confezionate ex-novo per somigliare a quelle dei suoi film più o meno recenti – messe insieme senza alcuna logica apparente, ma capaci di raccontare in maniera seducente questi ultimi vent’anni anni di storia della Cina e, contemporaneamente, del suo cinema.
Nel suo film più teorico e intellettuale di sempre Jia si affida completamente alle immagini per dare corpo al tempo che racconta. Un presente che è già storicizzato ma allo stesso tempo non ha ancora le sembianze di un passato in senso assoluto. In un arco temporale che, non casualmente, ricalca quello di Al di là delle montagne (2015) – là si andava dal 1999 al 2025, qui dal 2001 al 2021 – ma che è anche quello che descrive la carriera del regista (da Pickpoket, 1997, a oggi), si affastellano immagini di luoghi ed eventi che tornano al passato del cinema del regista, a momenti chiave della storia cinese recente. Come i festeggiamenti per l’assegnazione delle Olimpiadi del 2008 a Pechino o il completamento della diga delle Tre Gole e fino ai mesi della Pandemia di Covid: un viaggio attraverso ricordi che sembrano già dimenticati, superati dal tempo, eppure allo stesso tempo ancora reali, vividi, presenti appunto.
Quello che Jia ci chiede esplicitamente di fare è riflettere sulla memoria che queste immagini trattengono. Di mettere a confronto il nostro sguardo di spettatori di oggi con quello degli spettatori che siamo stati. Regalandoci l’emozione di scoprire come ciò che crediamo di aver già visto è in realtà un insieme di immagini consumate dal tempo, che in vent’anni di cinema digitale ha invece cambiato statuto, forma, superficie. Le riprese amatoriali in MiniDv dei primi duemila, quelle in HDV di Still Life fino a quelle in 4K di Al di là delle montagne che fra cambi di formato e aspect ratio scandiscono il ritmo del film, sono il segno di questo continuo ondeggiare di un presente che diventa passato e allo stesso tempo vive in contemporanea con esso. Un’indistinguibilità che le immagini assecondano diventando completamente inafferrabili e sovrapponendosi letteralmente a se stesse. Perché Jia torna nei luoghi dei suoi film più iconici, rimettendo gli attori negli stessi panni dei personaggi interpretati anni prima e li riprende con lo stesso sguardo, la stessa fotografia e la stessa prospettiva grafica, trasportando ciò che filma in un tempo sospeso, che non è (solo) quello della Cina del nuovo millennio, ma diventa quello di un cinema che ha come unico punto di riferimento le immagini che produce.
Certo, è un film per iniziati Caught by the Tides e se non si conosce quasi a memoria il cinema di Jia si rischia di non raccapezzarcisi e smarrire il senso. Eppure, nonostante al centro del lavoro ci sia soprattutto un concetto teorico, il film è anche una meravigliosa dichiarazione d’amore nei confronti del cinema. Uno sguardo retrospettivo sulla propria storia e insieme sulla storia della Cina filmato con la consueta grazia da un regista straordinario. Un regista capace di commuovere e allo stesso tempo dare vita a sguardi vertiginosi, squarci, spaccature e contraddizioni come pochi altri. Lo si capisce bene osservando lo straordinario finale del film, in cui Tao Zhao e Zhubin Li, interpreti di quasi tutti i lavori di Jia e suoi attori simbolo, si trovano nel buio della sera sotto le mura di Fenyang – città natale del regista e luogo di elezione del suo cinema – a guardarsi e guardare il mondo intorno a loro: tutto è estremamente familiare ma allo stesso tempo si avverte un senso di caducità e di fine incombente. E fa venire i brividi!