I primi e (per ora) unici alieni cattivi dell’autore. Più che cattivi: cinici allevatori e finalmente cacciatori di umani da stivare per poi nutrirsi del loro sangue. Ispirato al romanzo di H.G. Wells e riambientato nella contemporanea provincia del New Jersey, un film, terrificante ma “ludico”, sulla ferita dell’11 settembre, la fuga dal disastro, l’ostinazione a sopravvivere. Il regista lo considera un horror per bambini, e ritorna come sempre sul nucleo famigliare (di nuovo diviso dal divorzio) come fondamento di stabilità: Tom Cruise è il padre, Dakota Fanning e Justin Chatwin i bambini. Formidabile scena di suspense all’interno della casa diroccata ispezionata dal cavo ottico guidato dai Tripodi, le creature aliene immaginate da Wells e materializzate dalla Industrial Light & Magic. Finale deludente, per lo stesso Spielberg.
Nel settembre del 1972, alle Olimpiadi di Monaco undici atleti della squadra israeliana furono sequestrati da un commando di Settembre Nero. Morirono tutti, come otto dei terroristi palestinesi. Comincia così la recente sequenza storica (e morale) del cinema di Spielberg. Con una sceneggiatura di Eric Rothe e Tony Kushner (l’autore di Angels in America, che scriverà anche Lincoln, West Side Story e The Fabelmans), un’analisi umanissima e agghiacciante della spirale del terrorismo, dove i morti chiedono altri morti, per sempre, in una scia di sangue interminabile. I cinque agenti mandati dal Mossad in giro per l’Europa a vendicare la strage (Eric Bana, Daniel Craig, Ciarán Hinds, Mathieu Kassowitz e Hanns Zischler) si muovono tra agguati, omicidi, tradimenti e si riuniscono attorno a tavole troppo imbandite. Il cibo e la sua preparazione (nevrotica) come surrogato di “casa”. Una casa, una patria che non si sa dov’è e che, quando c’è, rischia di coincidere con la morte. Thriller disturbante, dove gli 007 hanno facce comuni, invisibili, dove la paura continua a seguirti. Sullo sfondo, alla fine, le Torri Gemelle ancora in piedi.
Il presidente americano forse più amato, il repubblicano conservatore che patteggiò la resa dei sudisti alla fine della Guerra di Secessione e che riuscì a far approvare il 13° emendamento della Costituzione, quello che aboliva la schiavitù. Nel confrontarsi con il modello di John Ford, Alba di gloria (del quale Kaminski rievoca il bianco e nero con una fotografia tutta giocata sui chiaroscuri), Spielberg si butta a capofitto nelle ombre, le sottigliezze, i compromessi della politica, un gioco che non può non essere “sporco” anche quando a guidarlo è una delle figure più pure dell’immaginario americano. L’importante è riuscire a fare la cosa giusta. Non per niente Lincoln era un avvocato venuto da una famiglia contadina, univa furbizia a saggezza, abilità retorica al gusto del racconto aneddotico. Daniel Day-Lewis gigantesco, un paio di scene laceranti di cataste di morti in battaglia, una seduta di voto parlamentare che ci tiene con il fiato sospeso anche se sappiamo già come andrà a finire.