I destini, a volte, s’incrociano, magari in modo beffardo. Quelli della fiction e della realtà, per esempio. Sono settimane che sento parlare di Sarin, utilizzato sul campo di battaglia in deroga ai trattati internazionali, che proibiscono l’uso di qualsiasi arma chimica. Hanno cominciato nella redazione di Newsroom, programma di news della ACN (Atlantis Cable News), dopo che un consulente di guerra ha fatto a un giovane producer la soffiata che può cambiarti la carriera. Solo due parole: Operazione Genoa.
In breve: una missione di estrazione di due soldati americani, ostaggio di ribelli afghani, portata a termine grazie all’utilizzo del Sarin, con le inevitabili conseguenze per le quali è proibito, e cioè la morte di decine di civili innocenti. Poi, tra la sesta e la settima puntata della serie (The Newsroom, HBO, giunta quest’anno alla seconda stagione), si è infiltrata la Storia, e di Sarin hanno cominciato a parlare le redazioni di tutti i giornali e telegiornali del mondo. Creando l’intreccio ma, anche, la beffa: perché nella redazione di Newsroom l’accusato è l’esercito del governo statunitense, mentre fuori dalla finzione l’accusatore ha il volto di Barack Obama. E a parti rovesciate, il racconto è continuato nello stesso identico modo: la ricerca delle prove – certe, evidenti, incontrovertibili – del crimine di guerra.
A oggi – 7 settembre 2013 – Newsroom ha risolto la questione, i governi Occidentali, invece, non si capisce bene. Tra dossier segreti e fotografie che però non provano in modo inequivocabile l’uso di armi chimiche, gli Stati Uniti sembrano aver già dimenticato la Storia recente, che conserva memoria di una guerra preventiva – la seconda del Golfo, 2003 – legittimata agli occhi del mondo dalla certezza anglo-americana del possesso, da parte dell’Iraq di Saddam, di armi di distruzione di massa. Certezza mai davvero dimostrata e quindi, nella sostanza, falsa. Ma del resto il governo Bush era anche quello (dei Wolfowitz, dei Rumsfeld) che poteva permettersi di rispondere a un giornalista (Ron Suskind): “Noi siamo ormai un impero, e quando agiamo creiamo una nostra realtà”. Comprensiva di Sarin.
I giornalisti disegnati da Aaron Sorkin – magnificamente – sono senza dubbio un po’ idealizzati. Perché applicano le regole, e non creano nessuna realtà (o si sforzano di non farlo, ben sapendo di poterlo fare): anzi, diffidano della realtà (e della sua “notiziabilità”), anche quando trasparente, e dei loro occhi e perfino della loro esperienza.
Prima di andare in onda con la storia di Genoa, si autocensurano fino al masochismo. Cercano una fonte, poi un’altra, poi un’altra ancora. Per un caso del genere – che può significare la condanna a morte dei militari che hanno autorizzato l’uso del Sarin, più conseguenze a cascata di ordine politico e sociale –, ci vuole LA prova: regina, madre, chiamatela come volete. Quando credono di averla, costituiscono il cosiddetto red team: tre giornalisti – tra cui il volto di Newsroom, Will (Jeff Daniels) – che nulla, fino a quel momento, hanno saputo di Genoa.
Come in un’aula di tribunale, chi ha lavorato al caso presenta le prove. Al red team il compito di smontarle, punto per punto, ma anche di considerare le conseguenze della messa in onda della notizia – qui, evidentemente, di ordine anche morale. Del resto, la gola profonda lo ha detto fin dall’inizio: Genoa può cambiare le carriere, ma anche far cadere i Presidenti. Alla fine, fumata bianca. Gli ascolti superano ogni più rosea aspettativa, la notizia fa il giro del mondo. Dal Pentagono, però, nessuna reazione. Poi, qualche giorno dopo, in un garage sotterraneo di Washington, Charlie Skinner (Sam Waterston), presidente della divisione news della ACN, incontra per la seconda volta la sua fonte (dai piani altissimi della politica). E scopre la verità: tutto falso, orchestrato ad arte.
Newsroom è una delle migliori serie televisive degli ultimi anni. È scritta col fuoco di un’intelligenza (quella di Sorkin) cattiva e presente. Presente non solo perché parla del presente, incrociando spesso eventi storici e politici reali (perlopiù legati agli Stati Uniti), ma perché disseziona senza moralismi la realtà contemporanea: la interroga, pone le domande giuste, la guarda da destra e da sinistra. Fino a intercettare, come in questo caso, il corso della Storia, rendendo improvvisamente “vera” la sua finzione. E utile.
Perché alla fiction che sa far corpo con la realtà (al cinema come in televisione), riesce ancora oggi, ogni tanto, di trasformarsi in un luogo prezioso per pensare la società in cui viviamo. E allora, anziché rivolgersi a giornali e tribune politiche televisive, per capire davvero che cosa sta succedendo, adesso, nel mondo, che cosa c’è in gioco, è meglio guardarsi tutto d’un fiato le sette puntate (finora) di The Newsroom. E non certo perché, per puro caso, la sceneggiatura di Sorkin ruota attorno all’uso di gas nervino. Ma perché solleva le questioni giuste: per esempio, mette in discussione i confini tra vero e falso, utile e dannoso, morale e giornalistico. Parla del potere (oggi straordinariamente amplificato) di immaginare la realtà, e poi di tradurre questa immaginazione in qualcosa di vero. Parla, in particolare, del potere degli imperi, quelli politici e quelli mediali. Della loro capacità o volontà di creare la realtà. E di ciò che ne consegue.