Il 23 aprile del 1958 usciva nelle sale americane L'infernale Quinlan di Orson Welles. Touch of Evil (questo il suo titolo originale) è noto per molte cose: l'acrobatico piano sequenza iniziale; l'ambiguità morale del suo protagonista; il gusto nel giocare, ribaltandoli, con gli stereotipi del cinema noir; e molto, molto altro ancora. Ma soprattutto – ce ne siamo accorti rivedendo il finale durante l'intervento di Pier Maria Bocchi, nell'ambito dei nuovi corsi “Bad Guys” proposti da FIC-Federazione Italiana Cineforum e Cineforum Rivista –, contiene la morte, e l'epitaffio fra i più commoventi della storia del cinema. «A lousy cop, but some kind of a man», dice la meravigliosa Marlene in versione gitana, mentre l'ormai defunto Quinlan galleggia tra i rifiuti. Mentre ci asciughiamo le lacrime, raccomandiamo senz'altro la lettura del “Flashback” scritto da Giorgio Cremonini e pubblicato su «Cineforum» n. 214, maggio 1982. ¡Adiós!
Ha ragione Paul-Louis Thirard quando afferma che «Welles è forse, con Chaplin e Buñuel, uno dei registi sui quali è stato scritto di più» (Paul-Louis Thirard, Orson Welles o la passione per il cinema, in «Il nuovo spettatore cinematografico»); altrettanto certo è che, all'interno di questa proliferazione critica, L'infernale Quinlan è uno dei film meno “chiacchierati”. Per di più, quando se ne è parlato, lo si è fatto prescindendo rigorosamente da ciò che esso, almeno in origine, è ovvero un “poliziesco”, un giallo. Citiamo alcune affermazioni: «La trama qui non è che un pretesto» (Edoardo Bruno); «È a prima vista un buon film giallo […], ma il film di Welles è molto più di questo» (Cesare Pianciola); «È un film su Stalin. […] L'autore di Citizen Kane è tornato a rappresentare il personaggio su due piani, uno basato su immagini di cronaca contingente americana […] e un altro piano di allegoria morale» (Italo Calvino). Forse tutto ciò nasce dal fatto che ancora una volta ci si è lasciati sedurre dalle dichiarazioni dello stesso Welles: «Ho le valigie piene di soggetti di film mai realizzati, ma tra questi non trovereste nessun thriller. Quando giro film di quel genere per il quale, vi assicuro, non credo di avere nessun interesse o attitudine particolare non è per il denaro (mi guadagno la vita come attore), ma a causa di un bisogno selvaggio di esercitare, in un modo o nell'altro, il mestiere che mi sono scelto, il mestiere di regista». Ma forse nasce anche dal fatto che, appartenendo il giallo alla cultura di massa, non poteva essere usato come categoria per parlare di un “autore” come Welles. Vale quindi la pena di ricordare ancora le parole di Thirard: «Non è perchè ha un soggetto nobile che Citizen Kane è un grande film: la gerarchia che mettesse La signora di Shangai o L'infernale Quinlan, a causa del loro soggetto poliziesco, al di sotto di Kane o dei film shakespeariani […] dovrebbe venir respinta».
Il soggetto de L'infernale Ouinlan (un romanzo di routine di Whit Masterson) viene proposto per la realizzazione a Welles nel 1957, dietro suggerimento di Charlton Heston che ne sarebbe stato l'interprete. Egli accetta, riscrive completamente la sceneggiatura in meno di tre settimane; la realizzazione, prevista per quaranta giornate lavorative, ne occupa solo un paio di più. Nemmeno questo tour de force basterà comunque a far ricredere i produttori sul conto di Welles, le cui difficoltà riprenderanno, tra progetti irrealizzati e opere incompiute, esattamente come prima.
La “detection” duplicata - Sin dalla sequenza d'apertura L'infernale Quinlan presenta alcune delle caratteristiche fondamentali del giallo: «Il romanzo-enigma […] non contiene una, ma due storie: la storia del delitto e quella dell'inchiesta […]. La prima, quella del delitto, è in effetti la storia di un'assenza. […] Lo statuto della seconda […] è altrettanto rigido: la storia in sè non ha nessuna importanza, serve soltanto da mediazione tra il lettore e la storia del delitto […]. Nel romanzo-enigma ci sono allora due storie, di cui una è assente ma reale, l'altra presente ma insignificante: presenza e assenza che spiegano la loro compresenza nella continuità del racconto» (Tzvetan Todorov, Tipologia del romanzo poliziesco). Delitto (l'esplosione) e detective (Vargas) sono subito in scena, ma vengono spodestati da una seconda figura di detective, Quinlan appunto, che finisce di fatto per rovesciare i rapporti fra le due storie. La detection·ne esce infatti duplicata quasi specularmente: apparentemente sia Vargas che Quinlan cercano, ciascuno a suo modo, il colpevole dell'omicidio di Linnaker, ma in realtà ciò che cerca Vergas è la colpevolezza di Quinlan, ovvero dell'altro detective; sotto la trama del primo delitto (Sanchez-Linnaker) ne esiste così una seconda (Quinlan-Grandes eccetera); entrambe sono storie assenti, nascoste, che si congiungono emblematicamente nel finale (la morte-punizione di Quinlan si accompagna alla confessione di Sanchez).
In questa duplicazione, quello che è il soggetto della detection nella prima storia (Quinlan) diventa l'oggetto della detection nella seconda. Questo è in fondo ciò che accade anche in Rapporto confidenziale (allo stesso modo, al tema della ricerca rimandano opere come Quarto potere, Lo straniero, La signora di Shangai), in cui Arkadin incarica Van Stratten di cercare… Arkadin stesso (e anche l'indagine sull'oggetto Kane è condotta attraverso le resurrezioni cinematografiche di un Kane che diventa cosi soggetto della storia). Si tratta di uno scambio di prospettive molto frequente nel giallo, in cui il detective-soggetto mette in gioco se stesso, diventando oggetto nella prospettiva specularmente rovesciata del criminale: qui questo ruolo è assolto specificamente da Susan, eroina in pericolo che rischia di trasformarsi nell 'innocente ingiustamente perseguitata.
«L'interesse del romanzo poliziesco sta nella dialettica di innocenza e colpa. […] Ogni assassino è il ribelle che pretende all'onnipotenza» (W.H. Auden): non è un caso dunque che, nel rovesciamento della dialettica che discende dal rovesciamento della struttura narrativa, colui che “pretende all'onnipotenza” (Quinlan) si riveli assassino; così come non è un caso che Welles sottolinei continuamente la solitudine di Quinlan (si pensi ai suoi dialoghi con Tanya, ma soprattutto alla sua recitazione e a quelle inquadrature riempite totalmente dalla sua corpulenza, in cui non c'è posto per altri), fino a raddoppiarla con la morte di Menzies. Infatti, «è l'isolamento che fa il colpevole» (Franco Moretti, Indizi, in Polizieschi classici), ovvero colui che con il suo gesto si oppone all'ordine, all'essenza stessa del sociale; è nella logica del giallo l'opposizione radicale fra l'assassino-individuo ed il detective-società; è questo secondo polo a trionfare anche qui, dove si configura in modo esplicito nella coppia Vargas-Susan (che non a caso si riunisce solo quando Quinlan è stato eliminato).
Il piano-sequenza - Naturalmente, seguendo Brecht, fin qui siamo allo schema del giallo, che però diventa veramente tale solo attraverso i modi del racconto, solo attraverso la forma che gli dà Welles. Il piano-sequenza è senza dubbio, dai tempi di Quarto potere, una vera e propria costante stilistica del cinema di Welles. Nell'Infernale Quinlan esso presenta tre diversi modi di impiego:
1) montaggio interno: riunione all'interno dello stesso piano di due azioni separate, legate l'una all'altra dalla situazione narrativa, ma soprattutto dalla visione dello spettatore; è il caso dei piani in cui Vargas “spia” Quinlan; qui il montaggio interno traduce in termini immediatamente visivi l'essenza stessa della suspence; noi sappiamo che Vargas sta spiando Quinlan, ma Quinlan non lo sa; le prospettive, come abbiamo visto, cambiano continuamente: da un lato aspettiamo che da un momento all'altro Quinlan se ne accorga ed eviti così la trappola; dall'altro temiamo che ciò possa accadere. Il continuo rlbaltamento di prospettive è supporlato da un dialogo continuo, grazie all'impiego del registratore: si determina così uno spazio ambiguo, diviso dalla profondità di campo e riunito dalla voce off (forse la baziniana ambiguità reale del piano-sequenza stesso). Il punto di vista dello spettatore si sposta continuamente da Quinlan a Vargas, con una lacerazione nell'identificazione secondaria che è tipica del giallo e della sua struttura binaria e che corrisponde a quella indeterminatezza soggetto/oggetto cui abbiamo già accennato.
2) montaggio parallelo: non si tratta ovviamente dello stesso montaggio parallelo di cui parla Metz, ma di una sua forma equivalente tutta risolta all'interno dello stesso piano, in cui si riconosce la presenza di due linee narrative indipendenti. Nella sequenza d'apertura, la coppia Vargas-Susan raggiunge la frontiera dopo un lungo percorso in parallelo con l'aiuto di Linnaker; noi non sappiamo nulla di loro, ma è il linguaggio stesso a dirci che un rapporto c'è. In un certo senso, è lo stile a creare una sorta di attesa-domanda.
3) montaggio continuo: consiste nelle variazioni di composizione all'interno dello stesso piano a causa dello spostarsi della macchina da presa e di personaggi appartenenti ad una sola linea narrativa. È il caso delle sequenze interamente girate nell'appartamento di Sanchez, nel quale sono radunati i diversi personaggi. In particolare queste due sequenze giocano sia sulla quasi continua presenza in campo di Vargas, sia sull'altrettanto continuo movimento dentro/fuori di Quinlan. Si stabilisce cosl una forma visiva della tensione esistente fra i due.
La verità del falso - «La regia», osserva Bazin, «sembra concepita secondo due direttrici fondamentali, una plastica e l'altra ritmica: la deformazione dello spazio in profondità con il 18,5 e la velocità. Il découpage è propriamente vertiginoso, la velocità dei personaggi sempre in movimento all'interno del quadro, si sovrappone a quello del montaggio, sempre connesso con il movimento». Lo spazio è sempre privo di un centro ordinatore: non lo trova nè in Quinlan, nè in Vargas, intenti solo a scambiarsi i ruoli di protagonista e antagonista. È uno spazio smisurato (ingigantito, appunto, dal grandangolare), «in cui i personaggi sembrano camminare con gli stivali delle sette leghe, quando non danno l'impressione di scivolare su un tappeto mobile»; ma è anche uno spazio angusto e chiuso, in cui si muove un groviglio di corpi, luci e ombre in continua trasformazione.
A questa elasticità dello spazio si accompagna un'analoga elasticità del tempo: il tempo reale dei piani-sequenza e il tempo distorto (le elisioni, le alternanze) delle intermittenze della “storia di Susan” all'interno della duplice detection. La story presenta così un continuo allontanarsi dalla sua linea conduttrice principale, con una struttura secondaria che in realtà ne accresce il carattere di suspense. Non solo, ma è proprio questa storia altra a permettere un più efficace mascheramento della prima trama del delitto. Non a caso, infatti, l'interesse dello spettatore si sposta subito dall'omicidio di Linnaker allo scontro Vargas-Quinlan: Susan è uno dei motori principali di questo spostamento, la cui forma è quella “convenzionale” del montaggio alternato, ovvero la più radicale distorsione semantica del tempo e dello spazio, una sorta di duplicazione parallela che ne accresce l'ambiguità (cosl come il continuo viavai di qua e di là dal confine).
Suspense, attesa, tensione, ambiguità: sono questi i codici fondamentali del giallo. Partito solo apparentemente come giallo-enigma, L'infernale Quinlan si configura quasi subito come suspense: si potrà quindi discutere sul tipo di giallo, ma non sulla presenza del giallo in quanto tale. Lo stesso Welles non si illude sulla novità del tema di fondo (il poliziotto corrotto), di cui il cinema americano ci aveva già fornito altri esempi: si pensi anche solo al Webb Garwood di uno dei primi film di Losey, Sciacalli nell'ombra (1951). La rivelazione dell'irregolarità di Quinlan è infatti quasi immediata; si capisce subito che egli ha chiaro in testa un disegno, una sua trama. Delle tre prospettive di lettura indicate da Guido Fink per il “tema del potere” nel cinema di Welles, letterale, politica e metalinguistica, è chiaramente quest'ultima ad apparire la più convincente: Quinlan, in fondo, non è altro che un inventore di storie; è un autore di innumerevoli trame delittuose; con l'immaginazione e l'intuizione riempie i “buchi” della realtà, crea delle storie che mescolano verità (la colpevolezza di Sanchez) a falsità (le prove). I termini di confronto immediati in questa prospettiva sono sia Storia immortale che F for Fake, ma anche un noto saggio di Dorothy L. Sayers che definisce il giallo come «l'arte di raccontare il falso». Ma se il racconto del falso produce il vero, qual è più la differenza? Probabilmente è solo in un'altra forma di onnipotenza, che sopprime la realtà («per me il realismo non esiste» ha dichiarato lo stesso Welles) per sostituirle la propria fantasia, l'unica verità possibile. Per un artista, ovviamente, più che per un poliziotto. Anche se poi succede che entrambi vengono riconosciuti colpevoli e puniti. Quinlan cade, definitivamente, nelle acque accanto all'immondezzaio; Welles risorge, se non innumerevoli, almeno molte altre volte ancora.