Dio la benedica, Mister Vonnegut! I 100 anni dell'Autore di Mattatoio n. 5

Mattatoio 5 di George Roy Hill

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L'11 novembre di cento anni fa giungeva sulla Terra (a Indianapolis, Indiana) Kurt Vonnegut jr. Fra i più ricchi e interessanti narratori americani della sua generazione, inizia nel 1952 come scrittore di fantascienza per poi passare alla letteratura tout court, senza mai disconoscere le sue origini di genere, anzi utilizzandone elementi per innestare e arricchire i suoi romanzi della maturità (Madre notte, Dio la benedica, Mister Rosewater, La colazione dei campioni, Un pezzo da galera e molti altri romanzi e racconti). Come si sa, l'esperienza di prigioniero di guerra sotto il bombardamento di Dresda è alla base del suo romanzo più famoso, Mattatoio n. 5 o La crociata dei bambini del 1969, portato sullo schermo nel 1972 da George Roy Hill (con musiche eseguite da Glenn Gould). Pessimista positivo, oppure ottimista circospetto (a seconda di come si voglia interpretare lo spirito delle sue opere), ci lascia nel 2007 (so it goes, così va la vita), non senza averci donato molte perle di saggezza («Quando siete felici, fateci caso!»). «Cineforum» recensì il film Mattatoio 5 sul n. 126, settembre 1972. Riproponiamo qui l'articolo di Ermanno Comuzio.


Mattatoio 5
di George Roy Hill

Al di là dei “generi”

Mattatoio 5 è un oggetto che a tutta prima non si sa bene come prenderlo. Le direzioni in cui si muove sono così eterogenee da lasciare perplesso lo spettatore abituato ad appoggiare la sua abitudinarietà, cioè la sua pigrizia, ai muri maestri di ben collaudati e ben riconoscibili “generi”: il film di guerra, la commedia americana, il ritratto di costume, il film satirico, il film di fantascienza, il film comico e così via. Ora succede che i “generi”, in Mattatoio 5, ci sono tutti. Lo smarrimento non è soltanto dello spettatore di cui sopra, ma anche della critica: nonostante abbia ottenuto uno dei premi al Festival di Cannes del 1972, il film è stato preso con le molle dai nostri·critici·soprattutto perché “spurio”, con la motivazione che la dimensione fantascientifica del racconto spezza l'impronta “realistica” di tutto il resto. Ora è verissimo Mattatoio 5 si muove in tante direzioni, ma a considerarlo nell'insieme – in ciò che ha voluto dire George Roy Hill, e prima di lui il romanziere Kurt Vonnegut jr. e il suo sceneggiatore Stephen Geller – questo fatto non ha alcuna importanza seria. Tanto più che non esiste una parte “realistica” contrapposta a una “fantascientifica”, o una “seria” contrapposta a una “faceta”, poichè la pellicola è tutta fantastica, nel senso·che è una favola morale, una meditazione allusiva·e simbolica in cui la vicenda è slegata da ogni logica narrativa per diventare apologo surreale, un po' alla Buzzati o alla Calvino (o addirittura, per i suoi elementi didascalico-favolistici, alla Rodari).

Partiamo dalla fantascienza, dunque, e chiediamoci che senso hanno gli episodi relativi. C'è ad esempio una virtuosistica sequenza in cui il trascorrere degli anni nell'esistenza borghese del reduce Billy Pilgrim è scandito dalla ripetizione in tempi diversi dei richiami per il pranzo (che trovano Billy sempre seduto nel giardino mentre gioca col·cane). sequenza conclusa dalla visitazione di un asteroide proveniente dallo spazio che letteralmente si affaccia alla finestra della camera di Billy, dolcemente incantato alla vista dell'oggetto volante (che nessun altro, si noti, vede o mostra di aver visto). Solo lui e il suo cane ne sono ammaliati, e intanto l'atmosfera lirica, più che fiabesca, è sottolineata dall'uso nella colonna sonora del “Largo” dal Concerto per clavicembalo e archi in fa minore di Bach.

Poi c'è il momento in cui l'asteroide torna e compie il “rapimento” di Billy, dispostissimo a lasciarsi rapire e a lasciarsi trasportare in un mondo nuovo che si chiama “Tralfamadore”, dove è preservato dai malefici influssi esterni (l'atmosfera di cianuro) da una specie di grande cupola trasparente e luminosa. Questi momenti – la struttura della cupola,·i colori strani del nuovo “cielo”, le voci·degli invisibili abitanti di Tralfamadore, eccetera – hanno lo stesso sapore fantascientifico che hanno gli episodi della “macchina del tempo” in Je t'aime je t'aime di Alain Resnais, cioè appaiono così goffi sotto il profilo della verosomiglianza tecnicistica da denunciare subito la loro natura di pretesti astratti, di elementi di comodo di un racconto che non tenta neppure di farci credere all'autenticità di tali cose (come fanno invece, e ci riescono, 2001: Odissea nello Spazio o Solaris).

Un uomo tranquillo “disturbato” dalla realtà

Altro è quello che interessa al regista. Infatti, che ci fa Billy su Tralfamadore? Ci vive in compagnia del suo cagnolino e di una divetta hollywoodiana che ha ammirato una volta su uno schermo di un drive-in. Un animale dunque, e una creatura che per l'animo semplice di Billy rappresenta il sogno lungamente acoarezzato; gli altri sono esclusi. Ma è soltanto un momento privilegiato di una realtà di cui tutti fanno parte e che non ha confini di tempo: su Tralfamadore si vive in una unica dimensione temporale, dove il passato, il presente e il futuro coesistono, e non si possono modificare le azioni ma solo subirle. La “filosofia” dei tralfamadoriani dice che si possono ignorare i momenti brutti dell'esistenza e concentrarsi su quelli belli: ma anche qui siamo di fronte a una “teorica” talmente grezza e approssimativa che non vuol farsi certo prendere sul·serio. Non occorre compiere degli sforzi, quindi, per interpretare il senso del determinismo tralfamadoriano e il significato del rapporto fra la Terra e lo Spazio; non è questa la direzione giusta.

Vediamo, allora. chi è questo Billy, ragazzone biondo e mite che passa attraverso le tappe della sua vita (Pilgrim = pellegrino) con candore fanciullesco? È un uomo tranquillo, uno che cerca soltanto di stare in pace e che, subordinatamente, vorrebbe fossero in pace anche gli altri, ma in questa nostra realtà è uno spostato, perché più vuole stare solo e tranquillo e più le circostanze lo “tirano dentro” sgradevolmente. Da piccolo,·il padre lo butta in piscina seguendo il rude proposito che o nuota o affonda (e Billy sceglie di affondare), da soldato lo perseguitano per colpe che non ha commesso ed è testimone di alcuni tra i fatti più dolorosi dell'intero conflitto, da borghese è afflitto da una moglie grassa e petulante – quando non ci sarà più, Billy la ricorderà solo per le virtù culinarie – e da due lenze di figli; è vittima di disastri aerei ed è assediato, nuovamente, da nemici tanto ottusi quanto ostinati. È forse predestinato, un “born loser”, come dicono gli arnericani, cioè un “nato perdente”? No, è semplicemente un omarino come tanti, timido e riguardoso, cui determinati fatti fanno perdere la sintonia con la realtà. L'accento è proprio sul contrasto fra la sua paciosità e le atrocità·in cui è coinvolto: vedilo, subito all'inizio, nei nevosi boschi del Belgio invaso, prima alle prese con·i tedeschi poi con i suoi commilitoni ringhiosi; nell'episodio della prigionia e infine·in quello di Dresda.

Siamo, qui, a quello che appare a tutta prima il cuore del carciofo, a giudicare anche dal titolo:·in realttà il bombardamento di Dresda non è assunto come un dato oggettivo, visto come una ricostruzione o partecipe, o polemica, o storicistica, o documentaria, ma come uno degli episodi (che è anche uno dei più atroci dell'ultimo conflitto mondiale) in cui maggiormente la personalità di Billy si trova a dover fare i conti con una realtà esterna che lo lacera. Un trauma, certo, ma anche un esempio sia pure macroscopico di ciò che sarà per lui l'esistenza tutta intera, compresa la sua vita borghese, dove la sua tranquillità è continuamente minata. Ora che fa, il nostro “pellegrino” sballottato e vittimizzato? Si libera da tutto appartandosi in un suo mondo di sogno, in una fuga onirica dove nessuno potrà fargli del male, dove la morte non ha alcun potere perché è un momento superabile, un avvenimento da archiviare, dopo di che si continua a esistere. Anzi la contrapposizione tra vita e morte non ha senso: «Voi siete sempre stati qui», dice la voce invisibile del pianeta Tralfamadore a Billy e alla sua compagna (per non parlar del cane). Eccolo, nel finale, contemporaneamente beato sul pianeta felice (?) e altrettanto beato in un momento della sua vita terrena, quella del trapasso, ucciso durante una conferenza dalla fucilata del fanatico che ha giurato di fargli la pelle: Billy sa che sta per morire, ma accetta la cosa con serena rassegnazione, perché è già su Tralfamadore (così come gli abitanti di quel pianeta accettano con rassegnazione, quando sarà il momento, la fine dell'universo, sapendo che il grande “bum” dipenderà dall'errore di un pilota che premerà il tasto sbagliato).

Favola didascalica: sognare non basta

Indubbiamente c'è un po' di pasticcio, in questo racconto, che tra l'altro procede a zig-zag, saldando insieme secondo gli scarti della memoria del protagonista fatti di tempi diversi, guerra e pace, prigionia e dopoguerra, bombardamenti e vita familiare, eccetera. Ma non è questa soluzione di linguaggio, usata in modo ora virtuosistico ora arido, a determinare l'incertezza del “messaggio”, e neppure la mescolanza dei “generi” (c'è anche la farsa macabra, in una sequenza alla Tati in cui è descritta la catena d'incidenti automobilistici provocati dalla moglie, che ne resta vittima, quando corre al capezzale di Billy sinistrato); si tratta piuttosto della debolezza dell'impianto culturale del racconto.

Il discorso, in sé, è molto interessante e legittimo·il ricorso ai moduli più eterogenei (io ci vedo in sostanza, a proposito di Rodari, una specie di fiaba moderna per ragazzi) dove, si badi, l'eroe della vicenda non è affatto esemplare, anzi. Il timido, riguardoso, sensibile protagonista è un debole e un egoista, uno che (siamo in tanti a essere così) soffre al contatto con la brutalità e con l'ignoranza ma che non trova di meglio che fugire dalla realtà e rifugiarsi in un suo mondo inattaccabile dagli “altri”. A parte il fatto che, assunta come la visione di un sogno, la parte fantascientifica del film non dovrebbe dare più fastidio, questa soluzione si presta a essere letta in trasparenza nei modi che appaiono facili a chiunque, e che lascio completare al lettore secondo le sue personali conoscenze ed esperienze.

Sostanzialmente il sognatore è condannato nella sua rassegnazione – l'unica sua arma – dall'esercizio di una ironia costante: il valore del film è qui, in questa trama filigranata di ammicchi e di sfottò, senza la quale la “morale” della pellicola resterebbe inaccettabile. Ci sono anche quelle che possiamo chiamare pagine liriche, e sono effettivamente, sinceramente partecipi. L'episodio dell'arrivo a Dresda dei prigionieri è molto bello, tenero e struggente, con la sfilata dei laceri e infreddoliti·soldati americani per le vie che dalla stazione li condurranno al Mattatoio 5, la loro prigione, accompagnati da una scorta surreale formata da alcuni ragazzini comandati da un colonnello vecchissimo: lunghi carrelli in soggettiva, sull'onda del Bach del Concerto in fa minore, rivelano e accarezzano la·città che appare agli occhi dei soldati, che la vedono per la prima volta nel suo splendore barocco, come un paese di favola (in realtà 1a sequenza è stata girata a Praga, fantasticamente fotografata dall'operatore del film che è il cecoslovacco Miroslav Ondricek). L'altra sequenza “lirica” è quella contrapposta·in cui la Dresda che si rivela agli occhi dei prigionieri americani, dopo la loro sortita all'aperto a conclustone del bombardamento, è un cumulo di macerie fumiganti: i due momenti costituiscono un commosso requiem per una città.

Ma la “chiave” del film è un'altra. Il regista, attraverso un brillante procedimento di raccordi analogici, di continui rimandi, di tocchi grotteschi, di sfaccettature acidule, si pone in una posizione polemica verso il suo personaggio, dopo che lo ha compatito, o meglio assume tale atteggiamento nei confronti di tutti coloro che Billy Pilgrim·rappresenta e di quelli che gli si muovono attorno. L'autore colpisce anzitutto la retorica, cioè la falsità e l'ignoranza (madri della violenza), che risorgono continuamente sotto diverse spoglie: vedi per esempio il figlio di Billy che va volontario in Corea per combattere il comunismo usando le stesse formule («O noi o i comunisti») che aveva usato il compagno di prigionia di Billy che era partito volontario·per combattere il nazismo («O noi o loro»); vedi il colonnello rompiscatole che, prigioniero pure lui, ciancia dei valori militari indistrutti, dal sacro legame con la bandiera eccetera in un momento in cui lo sfoggio del nazionalismo è proprio fuori posto (gli fa riscontro l'ufficiale rinnegato per il quale il patriottismo vero sarebbe quello degli americani che scelgono di combattere al fianco dei tedeschi); vedi il senatore americano che vuol scrivere un libro sui fatti di Dresda per difendere i bombardieri alleati, considerati pedine di una gara assurda (i tedeschi giocano le V1, le V2 e i lager, gli alleati Dresda e Hiroshima). Billy è in mezzo a questa gente, è uno di loro. Può consolarsi nel sogno fin che vuole, ma non sarà certo fantasticando che potrà contribuire a cambiare le cose.