Il 23 febbraio scorso, Alex Tremulis avrebbe compiuto 99 anni. Vagamente somigliante a Groucho Marx (o a James Ellroy, se preferite), il designer americano è passato alla storia dell'automobile come l'autore dell'avveniristica linea della Tucker Torpedo 1948, celebrata nel film Tucker – Un uomo e il suo sogno di Francis Ford Coppola (di cui riproponiamo la recensione, a firma Leonardo Gandini, apparsa su «Cineforum» n. 281, gennaio/febbraio 1989). Noto anche per il concept della navetta spaziale Boeing Dyna-Soar (che diventerà lo Space Shuttle, “cavalcatura” degli Space Cowboys di Clint Eastwood), Tremulis venne poi chiamato dallo stesso Coppola a fare da consulente storico per il film. In Tucker, è interpretato da Elias Koteas, che qualche anno dopo ritornerà al mondo dell'automotive su grande schermo con Crash di David Cronenberg, nei panni di Vaughan, conturbante demiurgo e mad scientist squisitamente ballardcroneberghiano.
Preston Thomas Tucker vive con la sua famiglia a Ypsilanti, nel Michigan, gestendo una fabbrica per la costruzione di torrette per aereoplani. Un bel giorno, decide di realizzare il sogno della sua in- fanzia, quello di costruire un automobile. Un inserto pubblicitario su una rivista, dove la vettura viene descritta come l'automobile del futuro, per i suoi criteri rivoluzionari di progettazione, suscita l'entusiasmo degli americani. Insieme a suo zio, Tucker si appresta a cercare i finanziamenti e gli appoggi politici necessari a intraprendere il progetto. Compra un enorme capannone a Chicago, riesce a ottenere la fiducia e i finanziamenti di centinaia di americani, e costruisce, a tempo di record, un prototipo della vettura. Nel frattempo, viene nominato presidente dell'azienda Pennington, un uomo d'affari di Chicago, che dovrebbe avere il compito di tenere i contatti con le grandi industrie automobilistiche di Detroit. In realtà, non appena varato il prototipo, Pennington si affretta a mandare Tucker in giro per gli Stati Uniti, col pretesto di pubblicizzare il prodotto, e sfrutta la situazione per cambiare il progetto di Tucker, rendendolo più costoso e meno innovativo. Tornato precipitosamente dal suo viaggio, Tucker entra in conflitto con Pennington e decide di procedere per conto proprio. Ben presto si rende conto che l'economicità del suo progetto è legata alla possibilità di avere acciaio, un elemento che gli viene negato dal boicottaggio delle industrie automobilistiche di Detroit, spalleggiate dal senatore Ferguson. Procuratosi l'acciaio (grazie all'intermediazione di Howard Hughes), Tucker può facilmente costruire l'automobile che voleva. Contemporaneamente, i suoi avversari riescono però a denunciarlo per frode, e a confiscargli tutti i suoi beni. Nel corso del processo, Tucker riesce a convincere i giurati della bontà delle sue intenzioni, e viene assolto. La sua idea ha partorito soltanto cinquanta autovetture, ma Tucker non si scoraggia: insieme al suo staff di amici e collaboratori, sta già pensando a nuove invenzioni…
Ancora una volta, dopo Cotton Club, Peggy Sue si è sposata e Giardini di pietra, Coppola sceglie di raccontare una storia tipicamente americana, andando indietro nel tempo ma rimanendo nel· l'ambito a lui prediletto, quello di un passato abbastanza distante per essere osservato con distacco, e abbastanza recente per avere stretti vincoli con il presente. La vicenda di Preston Tucker, «inventore, sognatore, visionario» come lo definisce la voce introduttiva, ha il merito di essere notevolmente emblematica. Alcuni vi hanno visto una parabola delle sfortune produttive dello stesso Coppola; in realtà, gli insuccessi di Tucker mettono a nudo, più in generale, una delle contraddizioni fondamentali dell'ideologia americana, che da una parte sollecita le iniziative e le ambizioni del singolo individuo, e dall'altra le comprime nel momento in cui queste turbano l'ordine costituito, le gerarchie sociali e economiche del sistema. I progetti di Tucker vengono infine soffocati dalle grandi industrie automobilistiche di Detroit, che temono la portata innovativa delle sue idee. Tuttavia, è significativo il fatto che, raccontando una storia che si conclude, dopo tutto, con un fallimento, Coppola non conferisca alla vicenda un tono cupo, non insinui nel racconto una vena di amarezza, come in Peggy Sue, o di tragica fatalità, come in Giardini di pietra.
Per Coppola, quella di Tucker è la storia di un eroe dei nostri tempi, senza macchia e senza paura. Sin dall'inizio del film, la voce fuori campo («È probabile che non abbiate mai sentito parlare di Preston Tucker») rivela l'intenzione di rendere giustizia al personaggio, attirando su di lui la dovuta attenzione, traendolo fuori dall'anonimato. Fedele all'intento, il film ruota completamente attorno al protagonista, segue ogni tappa del percorso che lo porterà a concretizzare il suo ideale, per dovervi poi rinunciare definitivamente. Tucker (un Jeff Bridges in splendida forma) viene descritto come il prototipo del selfmade man: segue con coerenza e serietà le sue passioni dell'infanzia, non si scoraggia quando le avversità sembrano boicottare definitivamente il suo progetto, sceglie i suoi collaboratori in base all'affidabilità (Eddie e il figlio) e alla voglia di emergere (il progettista Alex), apprezza chi, come Karatz, cerca di riscattarsi da un passo personale non propriamente limpido. Non è un caso che le disgrazie dell'intraprendente protagonista abbiano inizio proprio quando viene concessa fiducia a un elemento estraneo, Pennington, proveniente da quel mondo di affaristi e imprenditori che, per tutto il corso della narrazione, si contrapporrà alla realizzazione dell'“automobile del futuro”.
La costruzione e lo sviluppo di una simile opposizione, che vede i sani principi della provincia in lotta contro la corruzione e i sotterfugi della grande città, rende spontaneo il riferimento a Capra, e in effetti in questo film Coppola sembra sposare per intero i toni e le tesi dell'altro cineasta italoamericano. Come in uno dei più celebri film di Capra, È arrivata la felicità, il conflitto tra due mondi incompatibili trova la sua risoluzione finale nell'aula di un tribunale, dove Tucker riuscirà a farsi assolvere facendo leva appunto sui sentimenti populistici della giuria. Il tono impersonale della voce fuori campo, che interviene talvolta commentando l'azione, è tuttavia indicativo del fatto che Coppola non intende aderire completamente ai meccanismi della favola a lieto fine. La vicenda di Tucker è la storia di un insuccesso imprenditoriale, che il film rispecchia fedelmente. Ma il fallimento economico non coincide con quello personale: persa la possibilità di realizzare a livello industriale il suo sogno, Tucker si ributta in nuove idee, è pronto a ricominciare da zero con nuove iniziative, autentico testimone di un'epoca (siamo nel 1945) di case prefabbricate e di spot pubblicitari realizzati artigianalmente, in cui l'inventiva e la voglia di progresso non conoscono confini.
L'aderenza del film allo spirito di Tucker, e all'America che egli rappresenta, non si limita a essere semplicemente di origine tematica. Coppola ha infatti dato alla sua ricostruzione il ritmo, il dinamismo che caratterizza il protagonista. Se Tucker corre costantemente contro il tempo, per costruire prototipi e vetture entro i periodi stabiliti, il regista attraversa con disinvoltura tempi e spazi, asseconda in chiave espressiva la frenesia e la febbrile esaltazione che accomagnano l'avventura del costruttore. La macchina da presa compie sofisticati ed eleganti raccordi per seguire le peripezie di Tucker, le fatiche del suo staff, i tentativi di Karatz per rendere collettivo un sogno personale. In una vicenda scandita dagli eccessi (dodici cani in una casa, un prototipo costruito in venti giorni, cinquanta vetture realizzate in un anno, l'automobile più sicura del mondo, la fabbrica più grande del mondo), lo stile non poteva non concedersi vertiginosi virtuosismi.
Il dinamismo è la forza di Tucker, ma anche il suo punto debole. Nella prima parte del film, vediamo come i suoi ambiziosi progetti nascano in un'atmosfera da good neighborliness, da buon vicinato (e ancora una volta, è d'obbligo il richiamo a Capra). Per presentare le sue credenziali di progettista, Alex va fino a casa di Tucker, le discussioni avvengono tra il vociare dei bambini e l'abbaiare dei cani (nella composizione di queste scene, Coppola si ricorda delle illustrazioni di Norman Rockwell); per costruire la “sua” macchina, il protagonista abbandonerà Chicago e ritornerà nel granaio dietro alla casa, dove già venivano realizzate le torrette. In questa fase iniziale, tutti gli episodi importanti sono intervallati a momenti di aggregazione familiare: trasferte in paese per comperare il gelato, regali dello zio ai bambini, telefonate zuccherose tra Tucker e la moglie. Quando il progetto comincia ad assumere un carattere imprenditoriale, l'“inventore-sognatore” è costretto a viaggiare per sponsorizzare e divulgare la sua idea, ed è esattamente a partire da questo momento che intervengono le prime difficoltà, i primi dissapori con il team dei meccanici: l'espansione dell'iniziativa coincide con la sua disgregazione. In una delle sue rare parentesi riflessive, il film ci mostra anche ciò che si trova in fondo alla china che Tucker, per ambizione, ha cominciato a discendere: lo strapotente Howard Hughes, stranito ed afflitto da una cupa e ostile solitudine. Il protagonista si batte allo stremo per imporre sul mercato un'automobile che permetta di percorrere lunghe distanze con maggiore sicurezza; ma paradossalmente la sua sconfitta nasce appunto in coincidenza con il suo viaggio. Abbandonando il suo ambiente, e la “gestione familiare” che aveva caratterizzato il concepimento del progetto, Tucker va incontro alla propria disfatta. In fondo, soltanto in tre occasioni vediamo in azione l'automobile del futuro: un inutile inseguimento con la polizia, una passerella dimostrativa lungo le strade di Chicago, il collaudo del nuovo modello. Ed è significativo che in quest'ultimo episodio la vettura non faccia altro che girare insensatamente in circolo per un giorno e una notte, in una sterile prova di efficienza.