Tutto il peso della colpa in un'attesa. Snervante e insoddisfatta. In un film in cui le azioni sono volutamente cancellate (tranne una, l'azione che tutte condiziona: l'incidente), perché tutto ruota sulle conseguenze di un vuoto che è, insieme, espressivo e morale, un'attesa è più lunga delle altre. Talmente lunga che si estende ben oltre la fine.
[Tutto ciò che segue è uno spudorato spoiler. Se non avete visto il film, astenetevi dal proseguire]
Il dottor Nariman cerca una soluzione al suo dubbio, e per questo chiede al giudice la riesumazione della salma del bambino della cui morte teme di essere la causa.
L'autopsia notturna, che dovrebbe chiarire l'esistenza di un'eventuale lesione vertebrale alla base del cranio, è una questione esclusivamente privata. Dopo aver prelevato dalla cella frigorifera la salma con rispettosa pietà – alludendo, almeno apparentemente, a una sorta di dialettica visiva con il corpo per carpirne il segreto – l'intervento compiuto si svolge in un ambito strettamente individuale. I piani sono concentrati esclusivamente sul dottore, frammentati sul suo ossessivo operare, tagliare, sondare, osservare (foto 1 e 2)
Un'osservazione nervosa, franta, priva di un reale oggetto-corpo che possa motivare in qualche modo una soggettivazione. Una verifica che produce incertezza, priva com'è dei corrispettivi logici consueti e legittimi sul piano dell'immagine. L'oggetto perde definitivamente consistenza, si rifrange sull'abisso intimo da cui si origina e si mostra unicamente rispetto a se stesso, per la natura disfatta e svuotata che esprime. Il vuoto è reso plastico subito dopo con una serie di lunghe inquadrature in successione sui luoghi notturni dell'ambulatorio, immobili, privati di qualunque presenza umana, come se l'attesa fosse procrastinata appositamente per dilatare oltremodo la soluzione al dilemma che ormai il pubblico pensa sia imminente (foto 3 e 4).
Il vuoto febbrile, il vuoto tangibile, il vuoto assoluto: un campo medio mostra Nariman esausto su una sedia, il capo chino, quasi fuso sullo sfondo di quello stesso ambiente che ne rispecchia lo smarrimento personale (foto 5).
È innocente? Il bambino non presentava lesioni alla base del cranio? Ha trovato conferma alla sua colpevolezza? Il bambino è morto per le conseguenze dell'incidente da lui provocato? Ah, a saperlo!
Non è solo un troncamento, quello che si realizza dopo. Dopo un processo che pare rivelare tutto e invece porta con sé contraddizioni, omissioni e remissioni. Lo stacco finale è prevedibile: è l'unico modo possibile di terminare il film con coerenza. Perché il cerchio narrativo si chiude, mentre lo scacco morale del protagonista allarga la sua lacerazione per non cicatrizzarsi mai più.