Sono diverse le sequenze in cui James Wan, in The Conjuring - Il caso Enfield, dimostra la sua ormai nota abilità come regista di genere, ma due più di altre meritano un momento di riflessione.
Nella prima, il detective del paranormale Ed Warren (Patrick Wilson) interroga la piccola Janet, il ponte attraverso cui il perfido demone Valak si è introdotto in casa della famiglia Hodges. Janet, facendo sue le parole suggeritele dal demone, si raccomanda affinché Ed e tutti i presenti si girino di spalle per non inibirlo nella conversazione che di lì a poco seguirà. L’inquadratura è fissa e lo rimarrà per oltre tre minuti e mezzo. Sfruttando il formato 2,35: 1, Wan colloca Ed a sinistra del quadro e la ragazzina nell’ampia porzione di centrodestra, discosta e fuori fuoco. Mentre Ed la interroga, complice un progressivo oscuramento dell’inquadratura, la ragazzina cambia i tratti delle sue sembianze, mutandosi in un anziano morto in quella stessa abitazione che fa da filtro alla manifestazione del demone (foto 1 e 2).
Ma la trasformazione non si vede, si percepisce. Tutto rimane fuori fuoco ed è rivelato solo grazie a tratti sommari, riconoscibili perché antitetici tra loro e perché, quelli del vecchio, mostrati fugacemente in precedenza. Suggerito vs svelato: Wan conosce la lezione che molto dell’horror contemporaneo ignora, preso dalla frenesia del mostrare a ogni costo tutto e subito, con risultati che nella quasi totalità dei casi diventano grotteschi e stravolgono le intenzioni senza che ci sia nessuna volontà di ribaltamento parodico. Wan invece vela e non rivela, dosando con sapienza gli elementi, le presenze e le assenze, giocando con maestria sui tempi di esecuzione, dilatandoli ma evitando che si spezzino.
Un’orchestrazione che giunge fino all’ultima decisiva sequenza, abilmente allestita in precedenza. Una preparazione che risponde più ai dettami di strutturazione del thriller che dell’horror e che appare ancora più lontana dalle consuetudini del new horror (che spesso frantuma alcune convenzioni eccedendole). Il dato preliminare è la visione divinatoria di Lorrain Warren che ha mostrato al pubblico il marito Ed impalato con violenza da un tronco appuntito (foto 3), facendo incombere sui restanti due terzi del film la tragicità dell’ipotesi.
Il finale è invece un susseguirsi di microsituazioni e concitate azioni separate destinate a congiungersi. La piccola Janet in pericolo per l’aggressività di Valak, demone dalle fattezze di una pallidissima suora. Sola, chiusa all’interno di una stanza. La corsa febbrile di Ed per salvare la bambina, ostacolata, tra le altre cose, da un improvviso getto di vapore sul volto che lo rende momentaneamente cieco. Lorrain che dopo un fulmine vede prendere forma la sommità appuntita di un tronco simile a quella della visione, posto proprio sotto la finestra della stanza in cui è intrappolata la bambina (foto 4).
Mentre Ed, ancora alle prese con la vista offuscata, cerca con difficoltà di trovare la via per accedere alla stanza, il demone obbliga la piccola a sostare in piedi sulla finestra sotto la quale c’è il tronco appuntito. Ed riesce a penetrare nella stanza un attimo prima che Janet si lanci nel vuoto, bloccandola al volo. Ma per reggersi si appende alla tenda della finestra, i cui ganci, staccandosi uno dopo l’altro, inaugurano un evidente conto alla rovescia sull’eventuale caduta di entrambi (foto 5).
Dopo aver abbattuto la porta di servizio ed essere riuscita a introdursi all’interno, Lorraine giunge nella stanza, ma mentre sta per agguantare il marito, ormai allo stremo, il demone la ricaccia violentemente contro il muro, impedendo il salvataggio. Mentre gli anelli continuano a saltare progressivamente, evidenziati dalle inquadrature che fungono da autentici informanti cronologici, Lorraine neutralizza il demone pronunciandone il nome. Corre e riesce ad abbrancare il braccio del marito proprio mentre si sta per sfracellare sul tronco con la bambina.
Anticipazione preventiva, minaccia, fanciullezza violata, isolamento, corsa contro il tempo, serie di ostacoli, rallentamento dell’ipotesi di salvataggio, riduzione della speranza nell’animo dello spettatore in coincidenza con l’aumentare dell’eventualità di una soluzione tragica, primo Last second rescue e immediato capovolgimento con un’ulteriore minaccia, nuovo e decisivo countdown punteggiato da dettagli interpolati all’azione, secondo tentativo di salvataggio con nuova corsa contro il tempo, altro rallentamento ritenuto decisivo in concomitanza con il tempo a disposizione che sta per scadere, rimozione improvvisa dell’ostacolo, secondo e decisivo Last second rescue. Abbraccio distensivo. Per i personaggi e per il pubblico. Uff.
Tutto già visto, ovviamente. Soprattutto nella costruzione. Fin dai tempi di Hitchcock, seppur senza suore esangui e demoni irascibili. Però, a volte, conta anche la confezione con cui si restituisce l’assunto antologico. Ed è solo una faccenda di posologia di elementi, tempi di reazione e montaggio di linee del racconto. Nessuna pretesa di originalità, ma tantissimo mestiere. Puzza di manierismo, ma ci sono momenti in cui adoriamo accontentarci.