Se è vero che «c'è sempre posto per due verità», come si dice nel bel romanzo Transatlantic di Colum McCann (che tratta fra le altre cose della preparazione degli Accordi del Venerdì Santo del 1998, che portarono alla pacificazione in Irlanda del Nord), è altrettanto vero che «i tunnel delle nostre vite si incontrano, emergendo alla luce del sole, nei momenti più strani, per poi risprofondare di nuovo nel buio». Questi momenti, bisogna saperli prendere, come fecero a suo tempo, giusto un quarto di secolo fa, i leader delle fazioni unionista e repubblicana Ian Paisley e Martin McGuinness, impagabilmente interpretati da Timothy Spall e Colm Meaney, del cui viaggio verso il tavolo dei negoziati dà una gustosa ipotesi di ricostruzione il film Il viaggio di Nick Hamm (che venne recensito da Roberto Lasagna sul n. 564, maggio 2017 di «Cineforum», articolo che qui riproponiamo). Un viaggio dai tratti picareschi i cui protagonisti, un po' cane e gatto, un po' Jack Lemmon e Walter Matthau, alla fine dimostrano come sia altrettanto vero che se «è facile il cinismo, gli ottimisti sono i cinici più coraggiosi».
Dopo quarant'anni di troubles, di scontri tra protestanti e cattolici in Irlanda del Nord, i due leader politici delle rispetti fazioni, il predicatore protestante Ian Paisley e il repubblicano Martin McGuinness, si incontrano a St. Andrews, in Scozia, per discutere uno storico accordo di pace. Quando le trattative giungono a una situazione di stallo, i due nemici giurati sono costretti, dalle circostanze e dal destino, a intraprendere assieme un viaggio in automobile, che si rivelerà ricco di imprevisti. Attraversando la conciliante natura scozzese, i due si scambiano una serie di battute pungenti, ma un po' per volta nella barriera costituita dall'iniziale, reciproca diffidenza si aprono spiragli che portano i due leader a conoscersi meglio, e ad apprezzare la comune volontà di venire a un accordo. Costretti a passare molte ore insieme, Paisley e McGuinness realizzano di non essere poi così diversi e instaurano una bizzarra relazione di amicizia, che non solo porterà a un futuro di pace, ma farà anche guadagnar loro il soprannome di “Chuckle Brothers” (fratelli ridacchianti).
Ricordate Prigionieri dell’oceano, il film di Hitchcock del periodo bellico in cui i sopravvissuti condividevano il viaggio su un barcone destinato a lasciar emergere guerre ideologiche e sconfitte esistenziali? Ricordate Ombre rosse, il classico di John Ford dove il bandito e la prostituta, eterni perdenti, vivevano l’irruenza di viaggio in sentieri selvaggi e simbolicamente rifondativi? Il cinema costretto a riunificare in veicoli e mezzi di trasporto dai perimetri angusti e altamente metaforici la sua tensione allusiva, ritrova un nuovo appuntamento nel film diretto con schietta soggezione attoriale da Nick Hamm, a lungo regista teatrale della Royal Shakespeare Company, poi al servizio della televisione inglese in serie come Play on One e Rick Mayall e di quella americana per Rouge e Full Circle. Per il cinema Hamm è stato il nome dietro la macchina da presa di La voce degli angeli, delle incursioni orrorifiche e psicologiche Godsend e The Hole, della commedia Killing Bono. Con Il viaggio, Hamm mette fianco a fianco due simboli irriducibili e due figure attoriali che invadono la rappresentazione, regalando le temperature coinvolgenti di un racconto che volge sul piano di una forzata “convivenza a due” la possibilità di ricucire in una dimensione civile i conflitti di quella parte di mondo di cui gli interpreti sono anche fondamentali leader.
«I due uomini da cui dipende completamente l’accordo di pace stanno vagando da soli in un cazzo di bosco!». A urlare è Tony Blair, preoccupatissimo, voce e volto di una perdita di self control, caratteristica che da sempre ha contraddistinto la Regina Elisabetta e che traballa al cospetto delle condizioni storiche vacillanti, quando la posta in gioco è un orizzonte (temuto come perduto) di convivenza pacifica. Nel film entra in scena la Storia, che il racconto riepiloga con estrema sintesi, sin dai titoli di testa in cui si ascoltano voci dal buio concitate e angosciate. Seguono didascalie e foto d’epoca, a ricordo di quarant’anni di guerra e migliaia di morti. Una ragazzina bionda nel suo vestitino bianco vive disperata il suo urlo di dolore davanti a un funerale che sembra il funerale di tutti; poi immagini di morte e quartieri devastati dalle esplosioni, fino all’arrivo di una notizia, nel 2006, che può aprire un varco e ristabilire la speranza: in Scozia, i due leader delle parti opposte si sono incontrati per discutere la pace. In verità si tratta di una strada per nulla prevista e collaudata. Il reverendo Ian Paisley, incarnato da Timothy Spall, leader del Partito Unionista Democratico, protestante, e Martin McGuinness del Sinn Féin, cui presta il suo temperamento Colm Meaney, cattolico, trovano un’accidentale strada per il difficile accordo.
La caratterizzazione ingombrante degli interpreti (che somigliano molto ai loro personaggi) e una sostenuta tonalità macchiettistica paiono in buona parte in linea con l’origine oltraggiosa e anarchica di una rappresentazione che si spinge verso la black comedy e cerca nel road movie una chiave di rappresentazione storica inconsueta. Una via allusiva e via via sempre più diretta alla condizione in cui si trova un paesaggio diviso e lacerato, costretto, per la sopravvivenza, a cambiare rotta attraverso una conduzione che non può eludere la condivisione. Che il viaggio sia imprevedibile lo si coglie dai deragliamenti e dai dettagli: l’abitacolo frequentato da due personaggi storici, che si odiano ma sono costretti dalle circostanze a viaggiare insieme, è guidato da un falso autista che fa parte dei servizi segreti e si indirizza verso un bosco e un incidente di percorso che permetterà alle differenze di vedute di ricevere le opportune attenzioni. Il viaggio come percorso rappresenta la condizione del nomadismo spossante con cui gli individui affrontano il presente e dentro scatole di metallo si è pur sempre individui primordiali: naturale che l’abitacolo di un’auto, per quanto ampio e confortevole, sia il set di uno scontro che, almeno in alcuni suoi momenti, potrà diventare un incontro.
E nella visione en plein air dei boschi si distende improvviso e inaspettato l’avvio di un ritrovamento, quello tra Ian e Martin, il primo un volto di spigolosa insofferenza, l’altro un sarcastico volonteroso. È soprattutto il cinquantaseienne Martin a tentare il dialogo e a provocare, per cercare una sponda nella maschera di grugniti dell’ottantunenne presbiteriano. Cogliamo nei loro atteggiamenti la difficoltà di cambiare, come due cavie di laboratorio dove gli sperimentatori sono loro stessi e non deve essere stato facile per il regista diffondere leggerezza su un tema che riporta l’amara riflessione sull’assurdo della storia nordirlandese. Entrambi sono contraddetti, nella paura di ferire ulteriormente il loro popolo, la propria fazione politica e, in definitiva, il proprio orgoglio. Il dramma politico, tuttavia, viene in parte messo sullo sfondo, e il viaggio in macchina compiuto in Scozia da St. Andrews all’aereoporto di Edimburgo, con i ritardi dovuti all’imprevedibile marcia di un confessionale privato in cui tutto tracima in un presente di scontri verbali, è un percorso in cui i due uomini, pur sapendo di vivere un momento irripetibile, si sentono invisibili al mondo, sebbene siano sorvegliati da uno sguardo che, almeno in parte, li manipola.
La dimensione politica, orbene, rientra in questo condizionamento, nella politica della “ragion di Stato” che il Primo Ministro britannico Tony Blair incarna a fianco dei colleghi irlandese e nordirlandese, tutti intenzionati a sorvegliare il viaggio e a condurlo a un esito diplomatico, perché la posta in gioco è troppo alta per lasciarla al caso. Per Hamm e il suo sceneggiatore, il dramma si contorce nel privato e i due leader politici possono finalmente essere visti come due caratteri, due animi che influenzano con il loro agire le decisioni collettive; eppure la scelta di due attori così irresistibili nei rispettivi scostanti ruoli, rende questo piccolo film un momento significativo della rappresentazione cinematografica sospinta dal desiderio di intrattenere nel rispetto della verità e della rappresentazione storica. Certo, al film difettano momenti di regia inventiva, soluzioni linguistiche che innervino il racconto verso una maggiore problematicità. Anche la black comedy trova spunti esigui. Tuttavia gli interpreti sono bravissimi, e Timothy Spall, nella sua virtuosa capacità di lasciar affiorare il lato umano di un personaggio tanto sgradevole e bigotto, lascia la vera nota di speranza in un film sul cinismo e la durezza della Storia, dove si combatte e si litiga dimenticando i funerali delle persone.