Gaetano Donizetti cinematografico a BGBS Capitale Italiana della Cultura 2023

Per te d'immenso giubilo

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Stasera 20 novembre, alla Sala Musica Tremaglia del Teatro Donizetti in Bergamo, avrà luogo la proiezione del film Lucia di Lammermoor (1971) di Mario Lanfranchi con Anna Moffo, primo film della rassegna “Donizetti e la Bergamo del Bel Canto” organizzata da Federazione Italiana Cineforum nell'ambito delle iniziative di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023 (**). La musica di Gaetano Donizetti ha goduto di particolare fortuna anche al cinema, non solo in diverse fedeli trasposizioni (soprattutto L'elisir d'amore e Lucia di Lammermoor), ma anche con brani dalle sue opere utilizzati per dare un gusto, una coloritura particolari a film di diversa natura, da Bellissima di Visconti a Spectre della serie James Bond, da Match Point di Woody Allen a Il Quinto Elemento di Luc Besson. «Cineforum» ha parlato di Donizetti al cinema in due articoli, entrambi a firma dell'esperto cinemusicologo Ermanno Comuzio, nei n. 26, giugno 1963, e n. 313, aprile 1992. Buona lettura, buona visione, buon ascolto!

 

** Scopri tutto il programma qui https://www.cineforum-fic.com/attivita/cinema-al-cuore/donizetti-e-la-bergamo-del-bel-canto/

 

«Cineforum» n. 26, giugno 1963

Speciale Il Gattopardo

Musiche e suoni nei film di Visconti

 

Ermanno Comuzio

 

La differenza fra Luchino Visconti e gli altri autori di cinema, per quanto riguarda l'atteggiamento del regista di fronte al compositore o comunque al compilatore di colonne sonore, è che mentre gli altri registi, nella maggioranza, si affidano sempre al musicista, Visconti si avvale del musicista (dove questo non avviene, come vedremo, Visconti subisce un “tradimento” o si tradisce da solo). Diremo di più, che è lo stesso Visconti l'autore delle musiche che nutrono i suoi film, nei casi migliori, e non soltanto perchè il suo nome appare talvolta nei titoli di testa come corresponsabile (per La terra trema, ad esempio: «Commento musicale coordinato da L. Visconti e W. Ferrero, diretto da W. Ferrero») ma soprattutto perchè, anche quando i materiali compositori delle musiche si chiamano Rota o Cicognini, Rosati o… Bruckner, la scelta, l'ispirazione, il “taglio”, la funzione di tali pagine appartengono, spesso, al nostro regista.

Nei film di Visconti, in effetti, il mondo dei suoni ha una grande importanza, non seconda a quello delle immagini, per cui parlare delle sue scelte in fatto di musica e di suoni è parlare di tutto intero il modo di intendere il cinema, e lo spettacolo in genere, di questo autore. Anche per un discorso impiantato sulle colonne sonore dei suoi film si impone infatti, in partenza, la questione che sembra dominare tutta intera la sua produzione: come si concilia la sua accanita ricerca realistica delle cose con il suo “gusto del melodramma”, che è la chiave in cui vanno lette tante sue opere? Le sue colonne sonore, più che mai, riflettono questa contraddizione, che è poi soltanto apparente, in quanto nel suo accanito scavo critico Visconti è retto da uno scrupolo di natura antropologica oltre che filologica, che lo fa avvicinare intensamente all'intimità dell'uomo, esaltata appunto dalla dimensione “melodrammatica”, inteso, il melodramma, non come «convenzione fittiziamente spettacolare» – è una definizione di G.C. Castello – «ma nel senso di dimensione romanticamente ingigantita dei personaggi con le loro psicologie e dei fatti che da queste derivano o contro queste cozzano, personaggi e psicologie e fatti interpretati tuttavia secondo il metro di una indagine realistica».

Quasi costante è questa presenza del melodramma, anche se la musica operistica è protagonista soltanto di un film. Bellissima (1951), dove Visconti e Franco Mannino scelsero e adattarono pagine dell'Elisir d'amore di Donizetti; mentre per Ossessione (1943), il musicista Giuseppe Rosati aveva composto musica originale; così Nino Rota per Le notti bianche (1957), per Rocco e i suoi fratelli (1960), per l'episodio Il lavoro di Boccaccio 70 (1962), e per II Gattopardo (1963); così Alessandro Cicognini per l'episodio di Siamo donne (1953). Materiale prettamente folcloristico, cioè preesistente, domina la colonna sonora di La terra trema (1948), mentre la musica di Senso (1954), è presa a prestito da un sinfonista austriaco del Secolo scorso, Anton Bruckner.

Eppure, il melodramma fa sentire dovunque la sua presenza. In Ossessione, quando Gino rivede Giovanna alla Fiera di Ancona, la sua tresca riprende mentre il marito di lei canta un'aria d'opera al concorso dei dilettanti; in La terra trema il maresciallo dei carabinieri che adocchia Lucia, una delle sorelle di 'Ntoni, fischietta Bellini, e una melodia di Bellini esegue zio Nunzio sul flauto, durante la veglia festosa per la salatura delle acciughe; Senso si apre sul finale del Trovatore rappresentato alla Fenice di Venezia; in Le notti bianche, Natalia ha la rivelazione dell'amore durante la rappresentazione del Barbiere di Siviglia; nel Gattopardo, Verdi, l'operista italiano per eccellenza, è presente sia con due brani della Traviata (il coro Noi siamo zingarelle eseguito dalla banda di Donnafugata, all'arrivo del Principe di Salina, e Amami Alfredo suonato sull'organo della chiesa come preludio al Te Deum…) che, addirittura, con un valzer inedito.

Conta molto, in questo atteggiamento, l'educazione di Visconti (che di musica se ne intende, avendo studiato contrappunto e violoncello) e tutta intera l'atmosfera familiare in cui si è formato: non solo è uso frequentare assiduamente la Scala, ma è cresciuto nel culto di questo teatro. E per la Scala e per altri teatri ha curato la regìa di molte opere. Ma il melodramma è per Visconti, anzitutto, “dramma”, cioè azione, scontro di idee e di passioni, contenuto bruciante, per cui, al di là delle citazioni, è spesso l'intera struttura dei suoi commenti a essere di stampo melodrammatico.

[…] In Bellissima, la scelta e l'elaborazione dei temi di un vero e proprio melodramma (L'elisir d'amore) è demandata a Franco Mannino, del quale Visconti aveva messo in scena il balletto Mario e il mago (e ancora con Mannino si è ritrovato, quest'anno, per il libretto e la regìa dell'opera Il diavolo in giardino). Il critico Guido Aristarco, nella sua recensione a Bellissima («Cinema» n.s.. n. 78) traccia uno scrupoloso atlante della corrispondenza fra le arie e i cori dell'Elisir d'amore, come sono usati nel film, e le situazioni visive corrispondenti. Così, l'ammonimento iniziale «Non fate strepito, non fate strepito» cade sulla sequenza iniziale del viale di Cinecittà gremito di mamme e bambine strepitanti, speranzose di essere ammesse al provino che dovrà scoprire una nuova diva-bambina, e si collega al finale, quando Maddalena, aperti gli occhi alla realtà delle cose, si oppone finalmente al tentativo dei cinematografari che cercano di convincerla, a casa, a “lanciare” la figlia: «Non la sveglierà, non la sveglierà, la ragazzina», dice al marito, chiudendo fuori della porta lo “strepito” del cinema. La cavatina Quanto è bella quanto è cara, più la guardo e più mi piace sottolinea questa serenità ritrovata, mentre la fanfara di trombe legata al personaggio di Dulcamara accompagna l'entrata di Blasetti con il suo stato maggiore nel teatro di Cinecittà, mentre si prepara a esaminare le aspiranti attrici. «E nelle vesti di un moderno Dulcamara è appunto visto Blasetti, nelle vesti, cioè, di un venditore di illusioni che spaccia un farmaco (il cinema) dalle virtù portentose. L'elisir d'amore, nel nostro caso, è quello che infiamma le speranze di tutte quelle madri».

 

«Cineforum n. 313, aprile 1992

Speciale Cape Fear

Herrmann, Donizetti e altri complici

 

Ermanno Comuzio

 

Martin Scorsese si è tolto rispettosamente il cappello, nel rifare Cape Fear, davanti ai tre interpreti principali della versione del 1962 (Robert Mitchum, Gregory Peck, Martin Balsam). Molto di più ha fatto con il musicista di quel film, Bernard Herrmann, ospitandolo non per un atto di omaggio ma accogliendolo come protagonista della colonna sonora. Mettendogli al fianco Elmer Bernstein, così la musica è sempre quella ma non è più quella, è quella e un'altra allo stesso tempo: dopotutto Cape Fear 1991 è tutto suo, non è più quello di J. Lee Thomson.

Il risultato è di un interesse formidabile: ci riporta alla “sigla” caratteristica del vecchio film (la possente scaletta di quattro note nei corni seguita da gruppi di due note negli archi, nella prediletta tessitura così alta da diventare stridula) e allo stesso tempo ce ne offre una interpretazione nuovissima, come avviene d'altronde nelle immagini e nel loro significato. Bernstein conserva le vigorosissime e incalzanti affermazioni della partitura hermmanniana, ma poiché il respiro del racconto è cambiato deve intervenire a tagliare, allungare, creare pagine di raccordo. Deve adeguare il ritmo della vecchia musica a quello del nuovo film: dici poco, trattandosi poi di un compositore come Herrmann, che come noto era uno dei più rigorosi del cinema americano, e che ai metodi hollywoodiani non si era mai sottomesso (non lavorava neppure a Hollywood, non la frequentava fisicamente). Si sa che ruppe il sodalizio persino con Hitchcock, col quale aveva diviso riuscite memorabili, quando il regista inglese gli aveva “protestato” la partitura di Torn Curtain (1966) perché non consona a quanto lui gli aveva raccomandato, cioè un po' più melodica, magari con una canzone da sfruttare commercialmente. In quell'occasione Herrmann se ne era andato persino dall'America, scegliendo di abitare in Inghilterra. Ora, fu proprio Elmer Bernstein a recuperare la musica di Herrmann per Torn Curtain e a inciderla in disco. Bernstein si è accinto all'operazione Cape Fear con timore reverenziale ma forte della sua antica ammirazione e della sua amicizia per il Maestro (deceduto nel 1975); altra “combinazione” riguarda la fatica finale di quest'ultimo, che è la musica di un film di Scorsese (Taxi Driver, 1976). Bernstein e Scorsese li possiamo dunque considerare “autorizzati”, in certo senso, a mettere le mani nell'eredità Herrmann.

Bernstein non è nuovo, fra l'altro, rispetto a storie di violenza e di suspense: So che mi ucciderai, L'uomo dal braccio d'oro, La paura bussa alla porta, Uomini in guerra, Il prigioniero della paura, Piombo rovente, Anime sporche, La taglia, Terrore cieco, Matt Helm sono solo alcuni dei suoi titoli. Per Cape Fear questo musicista ha adattato e riscritto (oltre che diretto) una partitura che andava dritta e secca allo scopo, nel film del 1962, ma che qui non si adatta più al discorso più lungo e più complesso di Scorsese; dunque ha dovuto distribuire diversamente gli interventi e saldarli alle nuove situazioni. Favorito dal fatto che Herrmann componeva a piccoli blocchi, poi cuciti insieme in una unica partitura, Bernstein ha potuto estrarre dal contesto questi “blocchi” e crearvi attorno una nuova struttura, riuscendo dopotutto a conservare il sound (posto anche che la musica aggiunta dura solo sei minuti in tutto).

Comunque, per quanto riguarda la partitura del l962, non ci si è limitati ad accomodarla nel nuovo contenitore, ma si è dovuto spesso riorchestrarla per renderla aderente alla maggior “corposità” di Scorsese. Questo è stato il compito, sotto la guida del padre, della figlia di Bernstein, Emilie (c'è anche il figlio Peter che lavora nell'ambiente, come compositore): il famoso tema delle quattro note è stato reso più turgido, per esempio, rinforzando i corni e aggiungendovi quattro flauti e gli archi. L'effetto è di una “discesa agli abissi” quasi insopportabile. Bernstein non si è limitato a metter mano alla vecchia partitura, ha fatto ricorso anche a materiali “estranei” con l'intelligenza del musicista che capisce le esigenze del cineasta, e del resto Scorsese, col quale Bernstein ha già collaborato in occasione di Rischiose abitudini, diretto da Stephen Frears ma prodotto dall'italoamericano, ama e conosce la musica. Mi riferisco all'uso “drammaturgico” di una canzone e di un brano d'opera. La prima è Do Right Woman-Do Right Man di Dan Penn e Chips Moman, eseguita da Aretha Franklin, fatta ascoltare al telefono da Robert De Niro alla ragazzina di Nick Nolte come elemento di seduzione: il morbido insinuarsi della voce diventa un'arma insidiosa con cui il genio malvagio corrompe già a distanza la sua vittima minorenne e indifesa e l'avvolge nella sua rete; il brano operistico è il coro Per te d'immenso giubilo dalla donizettiana Lucia di Lammermoor. Lo ascolta in automobile De Niro quando va all'aeroporto da cui Nolte fa finta di partire (per poi incastrarlo tornando di nascosto a casa, e qui attendendo l'immancabile offensiva del suo nemico); ma non ha fatto i conti, Nolte, con l'astuzia diabolica di De Niro. Il quale ascolta con una faccia che tira gli schiaffi a due a due lo squillante coro nuziale nella solare tonalità di sol che introduce alla festa: «Per te d'immenso giubilo / Tutto s'avviva intorno / Per te veggiam rinascere / Della speranza il giorno»; ma la festa si ritorcerà contro colui che vede rinascere la speranza e pregusta il trionfo, così come le nozze di Lucia si risolveranno in tragedia. Il giubilo, in questa partita, è proprio di De Niro.

Musica composta per l'occasione, musica ripescata dal passato e adattata alle nuove circostanze, musica preesistente appartenente a un patrimonio estraneo: vale tutto, purché diventi cinema. Come in Cape Fear, il promontorio della bravura.