Sangue e proiettili. Di carta. Sorprende notare come di fronte all'esiguità dell'offerta cinematografica, che spesso costringe questa rubrica a scovare con fatica acrobatica l'argomento da trattare, escano praticamente in contemporanea due romanzi western e in qualche modo, addirittura, facciano parlare di sé. In contemporanea pur non essendo contemporanei.
Il primo, Butcher's Crossing, è stato scritto nel 1960, quando ancora il western significava qualcosa, ed è stato pubblicato in Italia da Fazi soltanto in virtù del grande e probabilmente inatteso successo di Stoner, capolavoro biografico-crepuscolare del suo autore, John Williams, un altro scrittore americano riscoperto colpevolmente troppi anni dopo.
Il secondo, edito da Einaudi, è invece attuale: s'intitola semplicemente Il figlio ed è firmato da Philipp Meyer, autore al secondo romanzo (il primo è stato Ruggine americana) inserito dal "New Yorker" nel 2010 nella lista dei venti più interessanti scrittori under 40.
Butcher's Crossing è il resoconto dettagliato - fin troppo - di un viaggio/miraggio, quello dell'esperto cacciatore Miller sulle tracce di un'enorme mandria di bisonti per la quale sfida le perplessità dei suoi compagni di avventura e la drammatica rigidità di un inverno dopo il quale niente sarà più come prima.
Il figlio è il racconto del passaggio storico dal West selvaggio al momento di transizione in cui lo sfruttamento petrolifero del sottosuolo sostituisce l'economia fondata sull'allevamento, fino a giungere alle amare riflessioni contemporanee, il tutto visto attraverso la parabola della famiglia texana McCullough e la testimonianza di tre generazioni. Un po' come se Il gigante di George Stevens incontrasse La valle dell'Eden di John Steinbeck, pur conservando un equilibrio proprio che non gli permette di adagiarsi su nessuno dei due versanti.
Il libro di Meyer presenta un ritmato rimando tra i tre narratori (il Colonnello, pragmatico patriarca, suo figlio, uomo sensibile e riflessivo, quindi considerato degenere, una pronipote degna erede del cospicuo patrimonio familiare) e cadenza gli eventi secondo una definita gerarchia fatta di azioni decisive ed effetti conseguenti, la cui completezza risiede nella molteplicità delle prospettive proposte dai protagonisti.
Il romanzo di Williams, invece, è una narrazione meditativa, accurata, descrittiva fino allo spasimo, in cui l'azione si riassume nell'esaltazione dei momenti di raccordo (l'osservazione, la speranza, l'eviscerazione delle bestie, la successiva scuoiatura delle pelli, l'attesa che il paesaggio muti la sua fissità glaciale per poterlo riattraversare a ritroso per il ritorno a casa ecc.), a scapito di punti di svolta continuamente procrastinati e che paiono non sopraggiungere mai. E che quando giungono sorprendono per l'immediatezza antidrammatica con cui si stagliano netti nella pagina («Poco dopo l'alba trovarono l'acqua», riferito a un fiume che il gruppo cerca da decine di pagine e che risulta fondamentale per trovare la giusta direzione; oppure, similmente, «Al quattordicesimo giorno di viaggio videro le montagne»).
Un esempio tra i tanti, scusandomi fin da subito per la vividezza dei particolari, per i quali, ovviamente, non essendo Williams, declino ogni responsabilità:
Charley Hoge e Miller si avvicinarono all'alta pietra del focolare e ci appoggiarono sopra la schiena, restando a guardare. Andrews esitò un momento, poi si alzò. Spinse la punta del coltello contro lo sterno del vitello e rovistò fino a trovare lo stomaco morbido. Poi strinse i denti e affondò il coltello nella carne, spingendolo verso il basso. Il pesante groviglio bianco-blu delle budella, più spesso del suo avambraccio, si rovesciò fuori dal taglio. Andrews chiuse gli occhi e spinse il coltello in basso il più rapidamente possibile. Raddrizzandosi, avvertì qualcosa di caldo sulla parte anteriore della camicia: un fiotto di sangue scuro, in parte rappreso, era colato dall'apertura. Schizzava sulla sua camicia e gli colava lungo i pantaloni. Fece un salto indietro. Il suo movimento brusco fece dondolare il vitello sulla corda, mentre le spesse viscere sgorgavano lentamente dal taglio sempre più ampio. Poi, con un tonfo pesante, liquido e scivoloso, si rovesciarono in terra e, come una cosa viva, il bordo della massa sgusciò verso Andrews fino a coprirgli la punta delle scarpe.
Schneider scoppiò in una gran risata, battendosi una mano sulla gamba. «Tagliala! Tagliala prima che ti salti addosso!».
Andrews inghiottì la saliva che gli inondava la bocca. Con la mano sinistra seguì il corso viscido e spesso del budello più grosso attraverso la cavità della pancia e vide il suo avambraccio scomparire nel calore umido del corpo. Quando ebbe raggiunto l'estremità delle viscere, fece entrare il coltello con la destra e tagliò alla cieca, malamente il tubo spesso. L'odore putrido del cibo mezzo digerito dal bisonte lo inondò, ma trattenne il fiato e infierì più disperatamente con il coltello. Il tubo si staccò e le budella si riversarono in basso, raccogliendosi nella parte inferiore del corpo. Con entrambe le braccia, Andrews le tolse dalla cavità fino a trovare l'altra attaccatura. Le recise e strappò via le interiora con movimenti rapidi e ansiosi, finché non si ammassarono tutte in terra intorno ai suoi piedi. Indietreggiò, pallido, respirando pesantemente a bocca aperta. Le sue braccia, stese lungo i fianchi e grondanti sangue, tremavano. (pp. 190-91)
Mentre al momento non si è conoscenza di un interesse hollywoodiano per Il figlio, che avrebbe le caratteristiche per diventare - nelle mani giuste - un affresco storico e sociale di portata dirompente, è da più di quattro anni che sono stati acquisiti i diritti di Butcher's Crossing, per un film che sarà scritto da Joe Penhall e diretto, presumibilmente, da Sam Mendes.
Se il western ha sempre fondato la sua esistenza sull'azione, anche in periodi recenti di ectoplasmaticità del genere, che film potrebbe scaturire da una trasposizione annunciata ma sempre rimandata? Se l'adattamento dovesse basarsi sulle scene chiave, quale sarebbe la durata della pellicola, 10 minuti? Se l'adattamento dovesse essere sostanzialmente fedele all'articolazione contemplativo-pastorale del romanzo, allora non sarebbe forse meglio chiamare alla regia Franco Piavoli o Giorgio Diritti? Se il motivo d'interesse, infine, fosse l'indugiare sull'eviscerazione o la scuoiatura, il western avrebbe nuova vita possibile fondendosi con il gore?
In qualunque caso, in un romanzo totalmente inadattabile per il cinema senza violarlo nella sua intima natura, e semmai si arrivasse a ultimarlo, scommettiamo che sarà un completo fiasco?