Sangue e proiettili. Ottani no. Suole di scarpe consumate nel deserto.
Frontera, opera prima di Michael Berry, disponibile dal 31 luglio in Video-on-demand e uscito il 5 settembre nei cinema americani, è un western moderno che si situa, ça va sans dire, on the Border, come se fosse un ideale seguito di Frontiera (Tony Richardson, 1982), Stella solitaria (John Sayles, 1996) e Le tre sepolture (Tommy Lee Jones, 2005). Storia di speranza frustrata, violenza proditoria e solidarietà frontaliera nata dal dolore. Un po' western, un po' melodramma, un po' atto d'accusa, seppur didascalico e tendente alla superficie del problema.
Miguel (Michael Peña) passa il confine, ma nella tenuta dell'ex sceriffo Roy (Ed Harris) è atteso da tre cecchini adolescenti, simpaticoni che nella noia della canicola desertica trascorrono il tempo a colpire i chicanos clandestini come se fossero le sagome degli orsi al luna park. Gli spari non colpiscono Miguel e il suo compagno di viaggio, ma spaventano il cavallo dell'accorrente moglie di Roy, disarcionata e ferita a morte nella caduta. Miguel tenta di soccorrere la donna, ma fugge al sopraggiungere di Roy, allertato dagli spari: la sua fuga ne fa il principale sospettato di un omicidio che non ha commesso. Parallelamente, la moglie di Miguel, Paulina (Eva Longoria), si affida a un trafficante messicano senza scrupoli per superare il confine.
Intreccio piuttosto convenzionale: questa rubrica non svela la reale identità di uno dei cecchini, né entra nel dettaglio sulla sorte di Paulina, perché pur sapendo bene che il film non uscirà mai in Italia, ha buon cuore, sa che hanno inventato internet, è conscia dell'esistenza della pirateria e quindi evita lo spoiler. Anche perché, tirando le somme, questi due interrogativi rappresentano le due sole scosse per lo spettatore, altrimenti intento a osservare una vicenda di grandi spazi proposti - alternativamente - come immagine d'ingannevole prosperità e di smarrente gigantismo, come nella migliore tradizione western del periodo precedente il crepuscolo.
Frontera è un film che lavora sui toni e si sedimenta sui volti, soprattutto su quello di Ed Harris, vedovo dall'espressione dolente scolpita nella corteccia di un albero centenario, e su quella di Eva Longoria, desaturata dal suo fascino di casalinga inquieta e ridotta a vittima sacrificale dell'angheria dei trafficanti. La regia di Berry indugia spesso sul risvolto melodrammatico, la scrittura (dello stesso Berry e Louis Moulinet) indulge su una catartica solidarietà incurante delle frontiere, il risultato finale riflette sul confine come fragile limite rivelatore di sadismo e conseguente vulnerabilità.
Problemi simili con prerogative differenti per raccontarlo. In tempi di respingimenti, di Mare Nostrum e di Frontex, nomi altisonanti per risultati che paiono mutare nel tempo solo per aggiornare tragici bilanci, il dramma è universale. Superfici e direttrici diverse per principi pressoché identici. Lampedusa e Pozzallo, il Rio Grande e la Medio County del film sono lo stesso luogo dell'anima, differenti sono solo le modalità di rappresentazione. O meglio, l'ineffabilità della rappresentazione di fronte a una sciagura ormai quotidiana, diffusa dai mezzi di comunicazione come se si trattasse della dichiarazione di un ministro o uno sciopero degli autoferrotranvieri.
Sui bordi – Dove finisce il mare , cortometraggio di quaranta minuti realizzato da Francesca Cogni sugli sbarchi a Lampedusa, in quest'ottica, si mostra estremamente consapevole: disegni animati stilizzati, dal tratto puerile, a ripercorrere fatti di cronaca tristemente noti (abusi nei CIE da parte di un agente, i parti sulle imbarcazioni-catorcio, la simbolica cucitura delle bocche, la limatura delle impronte digitali per non farsi identificare ecc.), i rumori del mare in sovrapposizione alle immagini a evocare tragedie senza un volto, diventate giorno dopo giorno solo più rilievi statistici.
Non c'entra col western, ma è una deviazione doverosa del percorso. Questa rubrica cercava solo un pretesto per poterlo citare.