Provate a dar retta in questo paese a chi ha subito una tragedia violenta per mano di un omicida: non cerca mai la vendetta, insegue soltanto la giustizia. Provate anche ad ascoltare chiunque si sia ritrovato malauguratamente nel perimetro di una calamità naturale: il pianto è inevitabilmente un grido accusatorio nei confronti di qualcun altro, si chiami Stato, Protezione Civile o Dio è lo stesso.
Comunque la giriamo, qui da noi sono tutti perdonisti o colpevolisti. Se mi ammazzano il figlio, li devo perdonare, per carità (cristiana), la rappresaglia non è civile, basta che la legge trionfi; se mi cade la casa sulla testa, il problema è prima di tutto di chi sta al potere, e poi della sfiga (che non manca mai, ma anche quella è un effetto diretto delle poltrone nelle alte sfere, statene certi).
Ci hanno insegnato fin da scuola che occhio per occhio è una brutta moltiplicazione. E non smettono di ricordarcelo: d’altronde, adesso l’ideologia dominante non appartiene mica all’autorità, troppo comodo; l’autorità ormai non conta più nulla (e poi, quale autorità?). L’ideologia che conta, quella che fa proseliti e diventa moda, compete alla vittima, all’oppresso che telefona in diretta e al perseguitato che risponde alle domande, alla gente di buon cuore e umanissima pronta a indignarsi perché un sessantenne ha adescato via Facebook una sedicenne (poverina, innocente e pura a priori e a prescindere), alla gente che si premura di ammettere ai microfoni che anche se un ubriaco gli ha stirato con l’auto la figlia sull’asfalto, anche se uno psicopatico gli ha accoltellato la fidanzata, non vuole vendetta, nossignore, vuole solo quel che è giusto, cioè la galera, e se possibile l’ergastolo.
Alzi la mano chi pensa ancora che la forza competa al potere costituito. Forse staremo meglio quando capiremo che il Colpo di Stato, del cui immaginario oggi ci si riempie la bocca, è già avvenuto un bel po’ di tempo fa. C’è ancora un potere, ma non è più del cosiddetto potere costituito. La lamentazione è diventata una forma di vita, è stile, è l’unica attitudine possibile in una società in cui non possiamo manco più sognarci la vendetta, figuriamoci invocarla. Possibile che in Italia non ci sia nessuno che si faccia prendere sanamente la mano e la ragione dal dolore e dalla rabbia, e che di fronte al proprio sangue versato non dichiari di voler vedere l’assassino morto stecchito, e per giunta subito?
Ma così si viene scambiati per fascisti, per giustizialisti, per vendicatori mascherati, per cowboy leghisti. Quindi, è bene lasciar perdere, e commuoversi per le vicende delle minorenni turlupinate con i social network dai pedofili lascivi, e per le parole di ogni prete che celebra i funerali dei morti sparati (con relativo rigurgito di applausi al passaggio della bara), e per i messaggi dei parenti di tutte le vittime ammazzate di questo paese che, davanti alle telecamere, negano di volere un regolamento di conti e pretendono solo ed esclusivamente giustizia, ovvero ciò che una società evoluta come la nostra dovrebbe garantire.
E il cinema? Va di conseguenza. Il massimo a cui possiamo aspirare è la vicenda di un Ernesto Fioretti qualunque. Pensate, perfino nei film ce lo proibiscono, il sogno della vendetta. Se arrivasse un nuovo giustiziere della notte, sarebbe immediatamente messo al bando perché cattivo maestro di un insegnamento altrettanto cattivo. Anche in sala, insomma, deve regnare la buona educazione, quella che ci è stata impartita con tanto di Bibbia e di Capitale.
Ma come la mettiamo se il mondo è cambiato, e se La Bibbia e Il Capitale non trovano più aderenza? Come la mettiamo se la gente un pochino perspicace, un pochino intelligente e un pochino smaliziata non ci sta, a questo gioco di lacrime e guaiti, querimonie cattoliche e elemosine catodiche, e, in particolare, non vuole riconoscersi negli Ernesti Fioretti?
Il codice è «buono per i polli», diceva il commissario Belli di La polizia incrimina la legge assolve; mentre dall’altra parte dell’oceano l’ispettore Callaghan, poco prima, per mettere a tacere Scorpio non guardava in faccia nessuno, tantomeno il fantomatico codice, e veniva accusato di fascismo, di là e di qua dell’Atlantico. Mi chiedo chi siano oggi i polli italiani DOP, se coloro che siedono dove si batte cassa o coloro che credono nel pianto accorato, sotto i riflettori di tutti i parenti di tutte le vittime. Conosco la risposta, ma la tengo per me, perché poi non è sicuro – nonostante tutto – che mi perdonino.