Nel corso del tempo non è mai stato facile circoscrivere e definire la categoria del B-movie. Esiste la storia dei generi, dell’exploitation, dei film da drive-in, dei midnight movie, dei cult movie, ma raramente si è scritto sul B-movie quale sensibilità. Forse perché il B-movie è un po’ un’idea-ombrello, dove tutto può rientrare (di certo ci sono rientrati via via i generi, e l’exploitation, e i film da drive-in etc.), perfino gli autori dello studio system.
E quindi come si fa? Come facciamo a capire se un film è un B-movie? Questione di stile? Non direi: Detour di Ulmer è considerato all’unanimità uno dei più perfetti B-movie del cinema; ma sono B-movie anche i film di Russ Meyer e certi Carpenter, Saint Jack di Bogdanovich e addirittura due o tre Scorsese (non è Fuori orario un grande B-movie?). La forma non conta, benché rapidità, concisione e disinvoltura possano dire la loro, se non altro in alcuni casi. E la produzione? Idem, conta relativamente, perché altrimenti finiamo a parlare ancora di generi, di exploitation, di drive-in e via discorrendo, e quindi torniamo al punto di partenza.
Proviamo così. Il B-movie è un’emozione. Anzi, un’emotività. La concretezza di un sentimento. L’evidenza che un film dà di sé, implicando che da qualche parte ci sia un precedente indefinito e indistinto, una “A”. Non c’entrano allora sistemi di denaro e politica degli autori, generi e pubblico, almeno non in maniera determinante: il B-movie è una percezione del mondo ma soprattutto è un’impressione, un’alternativa A qualcosa. Un’epifania. Tanto che il B-movie è più longevo delle categorie qui accennate, perché trasversale alle epoche e alle industrie, alle mode e ai calcoli imprenditoriali. A suo modo, il B-movie è indipendente e autonomo.
Saremo ormai abituati a tutto, e smaliziati, e cinici, ma il B-movie è vivo anche oggi, e prescinde dagli spettatori e dalla critica. Prendete il formidabile Life – Non oltrepassare il limite, che sembra Gravity in versione New World Pictures, Forbidden World di Allan Holzman in tenuta da soirée: è un horror sci-fi di sublime tessitura, e coglie perfettamente l’inclinazione del B-movie come esercizio di sguardo. Che sia targato Sony/Columbia e veda nel cast un paio di star hollywoodiane è al riguardo incidentale (lo è ancor di più il fatto che il regista sia una specie di signor nessuno): di Life entusiasma la “decisione”, la pratica bassa che non ha nulla per fortuna del postmoderno (e se si cita all’inizio Re-Animator non è per evocarne situazioni o memorie bensì per determinarne appunto un’appartenenza “merceologica”) e che invece è assolutamente coerente con l’immaginario di cui il film fa parte.
Tuttavia il blockbuster di Daniel Espinosa (e che un “blockbuster” possa fare al caso nostro è forse paradossale ma non impossibile: cerchiamo di abbandonare certi pregiudizi critici) non è il solo B-movie contemporaneo. Guardate Mad Max – Fury Road, o i thriller di Jeremy Saulnier, o I Don’t Feel at Home in This World Anymore di Macon Blair, o Sam Was Here di Christophe Deroo. Il fallimentare La cura del benessere di Gore Verbinski è un pachidermico B-movie senza scrupoli, diciamo un M.D.C. – Maschera di cera in abito da primo Michael Crichton, o viceversa: importa il piglio, al di là delle ambizioni e dei risultati (molto modesti, alla fine della fiera). Potrà sembrare eccessivo, però viene irresistibile pensare a un film come Miss Sloane di John Madden come a uno straordinario B-movie in confezione da major, perché l’ispirazione è proprio quella, di un criterio che non sia soltanto industriale ma anche istintivo.
Come a dire: il B-movie è uno stato d’animo. Ecco perché ad esso aderiscono i filmmaker più vari - da Shyamalan a Dupiex – e titoli all’apparenza inconciliabili. Essere un B-movie è insomma una virtù, anche se non tutti i B-movie possono dirsi “belli”; se non è un gesto politico (ordine ideologico valido per tutte le stagioni), scegliere il “metodo” B-movie è un atto sicuramente audace, oggi più di ieri, con il quale si rinuncia alla comodità del pensiero e dello strumento conformi per concedersi all’immediatezza di un sentimento. Ed è un sentimento acuto, che non trascura a priori la testa in favore della pancia (un film che ha una sceneggiatura a orologeria non è automaticamente escluso). Non inventa nulla di nuovo, il B-movie odierno, però non ricicla e basta: casomai si rinnova, intercettando non tanto il tempo e i gusti del pubblico (a tal proposito, il B-movie è anche meravigliosamente atemporale), quanto la sua stessa necessità di esserci.