Se crediamo che il cinema sia il risultato di una visione del mondo, non possiamo non credere che un film rappresenti una scelta. Di stile, di contenuto, di sguardo, quello che vogliamo, ma che sia una scelta è abbastanza evidente. E chiaramente ci sono scelte giuste e scelte sbagliate. Ci sono scelte condivisibili e pertinenti, e ci sono scelte disgraziate. Ma se un regista sceglie, è un atto di per sé deciso e determinante. Con le scelte il cinema lo ha talvolta perfino cambiato, il mondo. Comunque correggere o finanche rovesciare convenzioni e prospettive è un impegno che il cinema può ancora prendersi. Almeno il cinema per cui una scelta si riveli gesto risolutivo e probabilmente unico. Il solo gesto possibile.
Di scelte Opera senza autore ne fa una, e sembra infausta: tornare alla narrazione quale racconto semplificato. Il romanzo popolare quale genere che raccoglie e sintetizza tutti i generi, dal dramma al melodramma, in tutte le varianti possibili, women’s film e weepie, fotoromanzo e telenovela. Il racconto dei racconti, ovvero la storia delle storie, che “in superficie” abbassa le aspirazioni e che ha l’ardire di voler contenere ogni cosa e ogni vicenda, il tempo e l’uomo. Un’opera universo, più che universale; un’opera dove l’autore sceglie di abdicare al ruolo e lascia che a parlare, a svilupparsi e a concludersi, sia non un fatto, non un episodio, ma tutto il mondo che c’è. Opera con autore, però si tratta della vita. E quindi apriti cielo e apriti sesamo, schiudete immaginari e fantasie e non permettete a niente e a nessuno, né a un regista né a un critico, di obbligarvi a rinunciare al piacere dell’esposizione agevolata: amore e morte, guerra e sentimento, presente passato e futuro in Opera senza autore si uniscono e si passano il testimone, trovando un’epica piana ma incontenibile.
Lo spettatore, ormai abituato a qualunque punteggiatura e sintassi, sembra quasi non poterlo più guardare né sopportare, un film così: perché interpunzioni e fraseggio, periodi e partiture non appartengono alla perentorietà di un intervento ma alla chiarezza di una pagina destinata a tutti. Cinema democratico, perché chiede una partecipazione emotiva, prima che intellettuale. Cinema non stupido: perché il caso, che in perfetto stile feuilleton anche qui si manifesta spesso e volentieri e talvolta con una prepotenza da lasciare annichiliti (soprattutto in una scena delirante e folgorante di svelamento e epifania dove i fenomeni atmosferici ci mettono lo zampino e l’arte si smaschera quale soluzione assoluta), il caso capriccioso e spietato impone che le agnizioni rimangano inespresse e la vendetta non trovi sfogo.
E allora Opera senza autore è un film che predilige la relazione e fa a meno dei chiaroscuri. In questo modo, nel periodare di enunciazione e batticuore direttamente proporzionale al peso delle implicazioni, e dunque in un crescendo di ansie e di tensioni che riproducono apertamente e senza ombre la maiuscolizzazione dei valori più alti (Arte, Amore, Vita), ecco, in questo modo Opera senza autore è un film anche per il cinema. A favore del cinema. Che fa bene al cinema. Un film che non tradisce la sua prima funzione di dialogo con il pubblico, di forma somma di discorso immediatamente riconoscibile e spontaneamente comprensibile. Cinema televisivo (come si diceva una volta) perché ridotto a un’intesa facile? Non ci sarebbe niente di male, se l’incedere da sceneggiato (oggi lo chiameremmo fiction) comportasse una presa di posizione netta e indiscutibile nei confronti del cinema stesso (oltre che dello spettatore): Opera senza autore riconsente l’adesione come se fosse la prima volta, come se non ci fosse stato mai niente; un film vergine (e quindi anche ingenuo, imbarazzato, maldestro, euforico, incontenibile, gioioso, mirabolante, indomabile, esagitato, folle, impulsivo) che domanda allo sguardo di abbandonare il cinismo e, se possibile, tornare vergine come lui. Un film istintivo, che del cinema è rilucente manifestazione elementare e al cinema guarda con occhi innamorati, quelli che verosimilmente non capiscono ma confidano, che brillano di luce riflessa e ciecamente accettano. E l’istinto, è noto, può rivelarsi la sola risorsa capace di dichiarare guerra ai sistemi e ai conformismi ideologici, e infine sconfiggerli. Questo film è del cinema, e poi di Florian Henckel von Donnersmarck.