Su RaiDue, in seconda serata, va in onda la prima puntata di Quelli della notte, varietà quotidiano condotto da Renzo Arbore e in onda per 33 puntate sino al 14 giugno. Con un gradimento crescente che giunge a superare il 50 per cento di share, è insieme una ventata di nuovo per il video, alla quale riesce difficile sottrarsi, e la summa della (simpatica?) cialtronaggine del conduttore, quale ancor oggi in molte salse si può constatare.
Parliamo del programma, per cui va riconosciuta ad Arbore la qualità del talent scout, anche laddove il talento va del tutto costruito o inventato. I “suoi” comici o assimilabili (e relativi personaggi) restano incisi nella memoria dello spettatore di un tempo, e la controprova è la sopravvivenza nel linguaggio comune di alcune loro espressioni o battute.
Nino Frassica (fra Antonino da Casazza, con le sue surreali storpiature), Maurizio Ferrini (rappresentante di pedalò, con i suoi silos, il suo “muro di Ancona” e il suo “Non capisco, ma mi adeguo”), Riccardo Pazzaglia (affamato scrittore e il suo “brodo primordiale”), Roberto D'Agostino (lookologo che cita in continuazione L'insostenibile leggerezza dell'essere e il suo “edonismo reaganiano”), Andy Luotto (il musulmano Harmand e le sue invocazioni al “popl' arab'), Massimo Catalano (jazzista e viveur, coniatore di aforismi ispirati all'ovvietà, le cosiddette “catalanate”), e ancora Giorgio Bracardi, Simona Marchini, Marisa Laurito, Mario Marenco, Dario Salvatori.
Importante anche l'indotto: il libro omonimo edito da Mondadori e il Libro di Sani Gesualdi, che Frassica pubblica da Longanesi, vendono centinaia di migliaia di copie, e il successo (500.000 copie) arride anche all'album con le due canzoni lanciate dalla trasmissione: Ma la notte no in apertura e Il materasso in chiusura.
Il mix è così riuscito che passano inosservate alcune caratteristiche: il disimpegno politico (anzi l'assenza di alcun riferimento partitico) che garantisce il consenso, un qualunquistico anti-intellettualismo (tanto diffuso tra i nostri comici), la parodia dei salotti televisivi condotta però senza colpo ferire, infine la sostanziale “radiofonicità” (come ai tempi di Alto gradimento) colorata di ciarpami (“musica, ricchi premi e cotillons”) per renderla televisiva.
Fulcro e connettivo del tutto è il conduttore, ed è qui che si rivela la sua autentica natura di innocuo intrattenitore, buono per tutte le stagioni e, come tale, immutabile. A tanti anni di distanza, con i suoi pochi capelli vieppiù dipinti, i suoi incredibili gilet vieppiù stravaganti, la sua faccia costantemente orientata su una smorfia di sorriso, lo ritroviamo in giro per il mondo a condurre una sgangherata “Orchestra italiana” (nata nel 1991), atta a tramandare, con il buon senso che fu, la canzone classica napoletana. Lui foggiano di nascita e formazione. E c'è chi non lo perdona.