Non abbiamo dovuto attendere il 2004 di The Aviator per essere morbosamente attratti dalla figura di Howard Hughes, ché anzi il film di Scorsese ce ne ha alquanto scostato, non fosse che per l'interpretazione di DiCaprio, un attore-patata buono per qualsiasi polpettone (tanto, nel polpettone, è la carne a dargli di volta in volta un diverso sapore). Anche perché non è l'aviatore né l'imprenditore a interessarci quanto l'uomo di cinema, nato proprio in questo giorno.
Hughes ha diretto due soli film, ma destinati a fare storia: Gli angeli dell'inferno (1930), megalomaniaco come lui, per il costo complessivo (fu girato praticamente due volte: muto e sonoro) di 4 milioni i dollari e per il metraggio del girato (560 ore), e Il mio corpo ti scalderà (1943), con un titolo italiano ben più esplicito, e a ragione, del generico The Outlaw, un censuratissimo sex-western, bloccato per quattro anni e ancor oggi capace di provocare qualche fremito grazie alla generosa esposizione mammaria di Jane Russell.
Di film ne ha prodotti meno di una trentina, ma basterebbe Scarface (1932, di Hawks), vera antologia di violenze e pecora nera dei bempensanti (e dei fascisti), a garantirgli una menzione d'onore.
Poi viene l'uomo tout court, ovvero il produttore che non approfitta del suo divano per sedurre qualche aspirante stellina, ma che apre il suo letto ad attrici che si chiamano Katharine Hepburn, Jean Harlow, Ginger Rogers, Ava Gardner e (moglie dal 1957 al 1971) Jean Peters, sempre alla ricerca di una felicità che il denaro non può comprare, nemmeno quello di un “citizen Kane”. Non a caso la sua figura verrà evocata, poco prima della morte, da Welles in F for Fake (1975).
Il resto lasciamolo alla leggenda. O tutt'al più alla fantasiosa biografia non autorizzata di James Phelan, Howard Hughes. L'incredibile vita dell'uomo più ricco del mondo (Mondadori, 1977).