Nel giorno della nascita di Giorgio Strehler, il grande regista teatrale, attivo al Piccolo Teatro della Città di Milano dal 1947 al 1997 (quando scompare il 25 dicembre), innovatore assoluto nel primo decennio, affascinante nel secondo, importante nel terzo, effervescente nel quarto, svagato nel quinto, ignoto al cinema, ma di esso certo non ignaro, vogliamo ricordare un titolo della serie “filmografie immaginarie”, rifacendoci a quanto pubblicammo su Cineforum cartaceo (240, novembre 1984).
Nel gennaio 1976, infatti, Strehler annuncia in conferenza stampa il suo esordio nella regia cinematografica con un film tratto dal romanzo Notti e nebbie di Carlo Castellaneta, appena uscito. Per non confonderlo con il quasi omonimo documentario di Resnais, lo chiamerà Un uomo d'ordine o L'uomo d'ordine. C'è già il credit (sceneggiatura di Alfredo Giannetti, fotografia di Pasqualino De Santis, scenografia di Enzo Frigerio, musiche di Fiorenzo Carpi) e quasi il cast (gli attori del “Piccolo”, da Tino Carraro a Giulia Lazzarini, ma forse Gian Maria Volontè o persino Al Pacino o Robert DeNiro).
Per Strehler è una storia che ci riguarda tutti, oggi: «Esternamente, nei fatti, è un film sulla fine storica del fascismo, ma internamente, nei personaggi, è un film sul fascismo che è sopravvissuto e sopravvive dentro di noi, il male oscuro della borghesia, di quella italiana in particolare, l'agguato dei sentimenti d'ordine che nascondono e fanno da coperchio a un grumo contorto di irrazionalità» (dal resoconto di Morando Morandini).
Dieci mesi dopo, il progetto si perfeziona, ma è già un altro film. Intanto si chiama, célinianamente, Viaggio nella notte. Si attuano consistenti mutamenti nel credit (sceneggiatura di Andrea Frezza, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi) e nel cast (Gian Maria Volontè, Andrea Jonasson, Miou-Miou, probabili Agostina Belli e Yves Montand o Michel Piccoli).
Dichiara l'aspirante regista: «Avrà un andamento a zig-zag, a incastro, tra presente e passato... Avrà un andamento critico-lirico. Non sarà una ricostruzione storica. Le immagini giocano sulla geografia stilistica dell'epoca, le superfici fredde e falsamente eroiche del fascismo. Tendo alla ricostruzione del retroterra dannunziano, base della nostra disfatta culturale... Non sarà un film neorealista. Sarà una radiografia del fascismo interiore e profondo del piccolo borghese. La realtà trasposta condurrà a quella vissuta. Un racconto poetico-drammatico, senza espressionismi. Non si vedono tedeschi che torturano. L'orrido viene da più lontano... [Il protagonista] sarà uno che non si sente mai del tutto colpevole, perché non arriva alla vera consapevolezza dell'infamia... Un piccolo borghese senza eroismi, sempre pronto a servire alla violenza delle degenerazioni della società capitalistica, cioè il fascismo e il nazismo. Dietro, un mare di sottocultura» (da un'intervista di Maurizio Porro).
Lo Strehler di Ma mi (con ribaltamento in termini) e insieme a quello di Arturo Ui (con rappresentazione epica e dialettica conseguente), debitamente aggiornati negli anni del neofascismo incalzante e di altri torbidi movimenti incombenti. Un bel colpo. Mancato. Non sappiamo ancora perché.
Qualche anno dopo (1984) avremmo dovuto accontentarci, dallo stesso soggetto, del tv movie Notti e nebbie di Marco Tullio Giordana, pur assai convincente.