«A un lettore specializzato, che abbia a cuore soprattutto la storia e i problemi del film, ci par giusto additare un particolare modo di lettura dell'ultimo romanzo di Mario Soldati, Le due città (Garzanti, 1964). Le due città sono Torino e Roma, il protagonista Emilio Viotti è un piemontese poco più anziano di Soldati (classe 1906) e come lui trasferitosi a Roma per fare cinema agli albori degli anni Trenta. La narrazione va dalla guerra di Libia al secondo dopoguerra ed è intessuta di motivi cronachistici e autobiografici. Soldati è una figura troppo singolare nelle vicende del nostro cinema perché non si sia tentati di individuare, sotto il velame dell'invenzione romanzesca, una testimonianza. […].
Il fatto singolare è che questa progressiva resa alle ragioni dell'opportunismo il protagonista de Le due città incolpa l'aria della capitale. Il fascismo ha addirittura una sua lingua ufficiosa, il romanesco corrotto; la verità, per contro, si esprime in dialetto piemontese. Torino rappresenta la capitale vera, la tradizione, la rispettabilità, l'arte senza compromessi: è un assoluto che fa scadere ogni tentativo di avvicinarsi alla perfezione per sentieri extrapiemontesi. Roma rappresenta la capitale fasulla, l'improvvisazione, la gagliofferia, il cinema. L'esperienza storica di Soldati si congiunge qui alla sua poetica moralistica e manichea. Scopriamo le radici etniche, privatissime, di quel suo considerare il cinema “un'arte minore, anzi minima”. […].
L'esame ci sembra degno di attenzione perché contiene motivi di interesse generale e indica alcuni pertugi attraverso i quali insinuarsi nell'evocazione viva di un passato recente. Siamo davvero guariti da quella brutta malattia o i suoi germi esistono ancora, più o meno latenti, in ciascuno di noi?».
(Tullio Kezich, “Bianco e Nero”, 11-12, novembre-dicembre 1964)