Hollywood è ricorsa a molti interventi per modificare i corpi e i tratti fisionomici delle proprie star (una per tutte, la dolorosa elettrocoagulazione dei bulbi piliferi per alzare la fronte un po' troppo mediterranea di Rita Hayworth) ma qualche volta fu solo il caso a metterci lo zampino.
Alla diciassettenne (nacque in questo giorno) Lana Turner, il produttore Samuel Goldwyn, che l'aveva appena messa sotto contratto per Uno scozzese alla corte del Gran Khan (1938, di Archie Mayo) – curioso titolo ideato dalla censura fascista per un imbarazzante The Adventures of Marco Polo – impose la rasatura delle sopracciglia, che da quel momento mai più ricrebbero, tanto da costringerla a usare dei posticci oppure a disegnarle.
Anche questo particolare contribuì ad attribuirle un che di peccaminoso, già rivelato all'esordio quando il suo primo regista, Mervyn LeRoy, impose a Julia Jean, oltre al nome Lana, un maglione molto attillato: il ruolo in Vendetta (1937), quello di una ragazza ben presto assassinata, era modesto, ma quelle plastiche forme (capezzoli inclusi) risultarono indimenticabili, tanto da meritarle a lungo il soprannome di “The Sweater Girl” (come più tardi il fascinoso portamento e la sensuale andatura fecero coniare il termine “Lanallure”).
Benché nella sua lunga filmografia non manchino prove di grande valore (sintomaticamente quella dell'attrice alle prese con un tirannico produttore in Il bruto e la bella, 1952, di Minnelli e quella della ragazza madre che alla famiglia preferisce la carriera di attrice in Lo specchio della vita, 1959, di Sirk), resta nella memoria collettiva per ruoli variamente trasgressivi: l'assassina del marito nel primo (in realtà terzo) Il postino suona sempre due volte (1946, di Garnett), la perfida Milady giustiziata dal boia di Lille in I tre moschettieri (1948, di Sydney), l'inquietante e inquieta protagonista di I peccatori di Peyton (1957, di Robson).
Avvalorava l'immagine il suo privato. Dalle molte relazioni attrubuitele (tra gli altri, Tyrone Power, Frank Sinatra, Fernando Lamas, Howard Hughes, nonché Mickey Rooney, da cui ha un figlio rimasto segreto) ai sette matrimoni (dal clarinettista Artie Shaw all'illusionista Ronald Dante, passando per il “Tarzan” Lex Barker, sposato a Torino), contrassegnati spesso da momenti di violenza domestica. Il tutto coronato dal burrascoso rapporto con il gangster Johnny Stompanato, che si conclude tragicamente il 4 aprile 1958, quando Cheryl, la quattordicenne figlia dell'attrice, accoltella a morte l'amante della madre, si dice per proteggere costei da un'aggressione (e verrà assolta per legittima difesa).
Quando, colpita da un cancro alla gola, Lana Turner si spegne il 29 giugno 1995, all'età di settantaquattro anni, così la ricorda Tullio Kezich: «Fra i paradossi della Turner c'è che nonostante il coinvolgimento in uno dei peggiori scandali della storia di Cinelandia (si disse persino che l'amante l'avesse ucciso lei) non ha perso neppure per un momento la simpatia del suo pubblico. Maschi e femmine uniti nell'ammirazione per una donna considerata una divina del sesso, fama avvalorata da molteplici matrimoni e innumerevoli passioncelle con i più ricercati maschi del giro; e mai inficiata da gelosia o moralismo. Dal canto suo la bellissima dell'Idaho si è preoccupata di non fare scontare al prossimo le ferite di un' infanzia infelice e semiabbandonata: negli studi della Metro, dove trascorse ininterrottamente i primi tre lustri della carriera, tutti la stimavano per la puntualità , il rigore professionale e l'innata cortesia nei riguardi dei compagni. Lapidaria la sentenza di Pauline Kael, critico al vetriolo: "Non è un'attrice, è un accessorio". Sarà stata un accessorio (di lusso, comunque), eppure non ha dato luogo a reclami, non ha fatto sforare i costi di un film per qualche capriccio e ha reso felici i suoi produttori. E se nella vita si è fatta voler bene, sullo schermo ha suscitato ondate di erotismo. Concedendosi, al massimo, in costume da bagno; o lasciando solo indovinare ciò che aveva sotto il décolleté. Con una sobrietà e un'eleganza mai venute meno» (dal Corriere della Sera).