C'è qualcuno che ha il merito – o secondo altri il demerito – di aver creato Clint Eastwood e di esserne stato il maestro. No, non è Sergio Leone, che pure ci ha messo del suo, dandogli un immutabile volto e qualche lezione di regia, ma il meno celebrato Don Siegel, nato a Chicago in questo giorno.
Mentre Clint può agire a modo suo, anche troppo, in una Hollywood “liberalizzata”, il vecchio Don (all'anagrafe Donald) agisce nella Hollywood delle majors capitaliste ma soprattutto dei film low cost, con tutti i loro clichés e loro restrizioni, eppure riesce a lasciare un'impronta più profonda dell'allievo.
Questo ex montatore (gli si deve tra l'altro Casablanca), che già nel 1945 vince 2 Oscar per il miglior corto (Star in the night, sulla nascita di Cristo!) e per il miglior documentario (Hitler lives?), ha il cinema nel sangue e il suo nome costituisce una garanzia, anche quando firma prodotti di semplice confezione.
Ma basterebbe una decina di titoli, in cui rivisita a modo suo i generi tradizionali, a garantirgli imperituro e sempre sorprendente appeal, per non dire fama: il carcerario Rivolta al blocco 11 (1954), il fantascientifico (o fantapolitico?) L'invasione degli Ultracorpi (1956), i gangsteristici Contratto per uccidere (1964) e Faccia d'angelo (1967), il thriller Chi ucciderà Charley Varrick? (1973), lo spionistico Telefon (1977), il gotico La notte brava del soldato Jonathan (1971, anche produttore), oltre a tre dei cinque film in cui gestisce Eastwood, dal volto sempre immutabile ma un po' più rugoso, e tenta di spiegargli i movimenti di macchina: il poliziesco L'uomo dalla cravatta di cuoio (1969), il chiacchierato (anche questo è un genere...) Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo (1971), il drammatico Fuga da Alcatraz (1979).
Questa potrebbe essere la sua epigrafe (muore nel 1991): «Non faccio film per nessun particolare gruppo: non li faccio per i giovani o per i vecchi o per i negri o per gli ebrei – sono ebreo tra l'altro. I film li faccio sempre per me stesso».