«Io non ho nome. – Io son la rozza figlia / dell'umida stamberga; / plebe triste e dannata è la mia famiglia, / ma un'indomita fiamma in me s'alberga.» Chissà se sono stati questi versi della poetessa italiana (e saldamente fascista) Ada Negri a ispirare Barbara Apolonia Chalupec nell'adottare lo pseudonimo Pola (diminutivo di Apolonia) Negri, ma quel che è certo è che la situazione non è delle più allegre: figlia di una nobile polacca caduta in miseria e di uno stagnino slovacco spedito in Siberia per attività rivoluzionarie (ma, secondo altre fonti, semplicemente fuggito di casa) la giovanissima danzatrice dell'Accademia di Varsavia si trova in sanatorio per curare la tisi. Ma “l'indomita fiamma” non s'è spenta e, per usare un'altra espressione dell'epoca, “solo chi cade può risorgere”. A vent'anni Pola esordisce nel cinema e tre anni dopo, nel 1917, si trasferisce in Germania, nientemeno che su richiesta dell'impresario e regista teatrale Max Reinhardt. Ma è un altra celebrità berlinese, Ernst Lubitsch, a imporla come protagonista di vari suoi film: Gli occhi della mummia (1918), Sangue gitano (1918), Madame du Barry (1919), La sbornia (1919), Sumurun (1920), Lo scoiattolo (1921) sino alla sua ultima opera tedesca, Die Flamme (1923), che varca l'oceano e le procura subito vasta fama. Scritturata dalla Paramount, non a caso il suo primo film americano si intitola icasticamente Hollywood (1923, James Cruze) e il secondo La vampa (1923, George Fitzmaurice) ed è subito star, anzi vamp, colei che può insidiare Theda Bara (altro curioso pseudonimo, l'anagramma di “Arab Death”) e Gloria Swanson, ma ha qualcosa in più: «bellezza esotica, raffinata e sensuale, avvenente e istintiva ma anche dotata di una personalità volitiva e di vero talento», come la definisce Melania Mazzucco, implicata in un'intensa storia d'amore con Rudolph Valentino (ma ha avuto anche una breve relazione con Charlie Chaplin), Hollywood – dopo la sua migliore interpretazione: L'ultimo addio (1927, Mauritz Stiller), titolo emblematico – finisce con il triturarla, anche perché la costringe a essere meno spregiudicata e maliziosa, e l'avvento del sonoro – causa anche la durezza della voce – fa il resto. Dopo prove incolori in Europa (ma il ruolo di una madre in Mazurka tragica, 1935, Willi Forst, fa di lei l'attrice preferita di Hitler, e tale predilezione le permette di continuare a lavorare nel cinema tedesco benché in parte ebrea) e ancora una volta in America, la rivedremo a sorpresa nel 1964 (Giallo a Creta, James Neilson, produzione Walt Disney!), dove è un'eccentrica Madame Habib, ignara di poter essere scambiata per una ricettatrice. Chiude in sdegnosa solitudine una leggenda ormai sfiorita, prima di scomparire, ovviamente dimenticata da molti, in questa data, all'età di 92 anni. Lei che ha attraversato il secolo breve, tra luci e ombre. |