Vi sono almeno quattro attori italiani che hanno dato, se non il meglio di sé, almeno prove degne di ricordo come registi, spesso anche di se stessi.
Non parliamo di Alberto Sordi, che come sempre, nel bene e nel male, fa storia (di un italiano) a sé. Bensì, in ordine di apparizione “sopra il titolo”, di Aldo Fabrizi (9 titoli, tra cui da ricordare almeno Emigrantes, 1949, e Hanno rubato un tram, 1954), Ugo Tognazzi (5, almeno Il fischio al naso, 1967, e I viaggiatori della sera, 1979), Vittorio Caprioli, Nino Manfredi (4, almeno L’avventura di un soldato, 1963, e Per grazia ricevuta, 1971).
Qui si parla, nel giorno della sua scomparsa a soli 68 anni nella natia Napoli, di Vittorio Caprioli, con i suoi 6 film, tra il 1961 di Leoni al sole e il 1983 di La stangata napoletana. Ma, tra quell’ambigua e malinconica panoramica balneare e codesta stanca commediola brillante, stanno due capolavori “scandalosi”, rispettivamente con l’omosessuale Fiorenzo Fiorentini e Ugo Tognazzi en travesti, che precorrono con gentilezza e garbo i tempi: Parigi o cara (1962) e Splendori e miserie di Madame Royale (1970).
Attore di teatro (come dimenticare i Gobbi, fondato nel lontano 1950 con Alberto Bonucci e Franca Valeri, sua prima moglie?), di radio, di televisione, al cinema è addirittura inflazionato: compare quale caratterista più o meno di lusso, talora quasi come macchietta, in una novantina di film. Ma a parte poche eccezioni (Zazie nel metrò, 1959, di Malle; Il generale della Rovere, 1959, di Rossellini; I giorni contati, 1962, di Petri; L’automobile, 1971, di Giannetti) è solo una presenza, quasi un se stesso da replicare. Di qui l’esigenza, comune ad altri colleghi, di dirigersi alla ricerca di una dimensione diversa e soprattutto di raccontare storie che molti, nel cauto o solo pruriginoso cinema italiano d’allora, avrebbero rifiutato, per ripiegare magari sulle sguaiate mossette delle “checche” alla Lino Banfi.