Se non fosse scomparso in questa data, oggi compirebbe 79 anni l'alessandrino Adelio Ferrero.
Senza l'insipienza e la colpevole negligenza degli amministratori di quella città, oggi compirebbe 36 anni il Premio Adelio Ferrero, istituito nel 1978 per ricordare Adelio, riservato a giovani saggisti e critici cinematografici, una bella scommessa che ha visto negli anni un migliaio di concorrenti e qualche indiretto ma confortante frutto sulla stampa, nelle riviste, nell'insegnamento, nel circuito culturale e nella produzione audiovisiva.
La sede di quel premio, il Teatro comunale di Alessandria (di cui Adelio fu il primo presidente), è ora una cattedrale inagibile inquinata dall'amianto. La memoria di Ferrero è tutta racchiusa in un breve curriculum: critico cinematografico per Cinema Nuovo e Mondo Nuovo, fondatore e primo direttore della rivista Cinema e cinema, docente di storia del cinema presso il Dams dell’Università di Bologna; tra i suoi libri, Jules Dassin (1961), Jean-Luc Godard (1967), La terra trema (1969), Guida alla formazione di una cineteca (1971), Robert Bresson (1976), la curatela per Marsilio di Storia del cinema italiano (5 voll., 1976-1978), Il cinema di Pier Paolo Pasolini (1977), oltre agli scritti critici raccolti in Dal cinema al cinema (1980) e in Da un cinema a un altro cinema (2005), entrambi a cura di Lorenzo Pellizzari. Dalla prefazione a quest'ultimo riportiamo un brano che tenta di illuminare il suo percorso.
«Avanti senz'altro, ma il juicio non è la prudenza, bensì il giudizio in tutt'altro senso. Viene spontaneo questo titolo manzoniano per affrontare un ventennio di attività critica del nostro Adelio Ferrero, su due testate, quella che lo tiene a battesimo (Cinema Nuovo) e quella che egli stesso crea (Cinema e cinema).
«Adelio esordisce ufficialmente ad appena ventun anni ed esce di scena, attivo sino all'ultimo, a soli quarantadue. Oggi avrebbe settant'anni ed è inutile rammaricarsi su ciò, in termini amicali oltre che produttivi, che ci è stato sottratto. Viene solo da sorridere guardando a che cosa avrebbe pensato di Ring! [il festival della critica italiana, spentosi anch'esso nel 2010] (una bagarre, detto con una bella erre arrotondata) mentre si è certi di come avrebbe valutato il premio che sin dal 1978 gli è stato intestato: amava i giovani, li coltivava, li sosteneva e li promuoveva ma non per vie facili bensì per ardui sentieri.
«Forse lui giovane non era mai stato, sia per la serietà del tono assunto (anche se largamente partecipe degli eventi e degli umori dei suoi anni) sia per l'aspetto sempre molto controllato e più maturo dell'età anagrafica. Anche per chi l'ha conosciuto nel 1960, di soli tre anni meno vecchio di lui, al di là dell'istintiva amicizia o almeno simpateticità subentrava una specie di soggezione. E inoltre aleggiava una certa aria (o aura) di mistero. Si conosceva poco della sua vita privata, tutta all'insegna del viaggio (con tappe a Milano, Pavia e infine Bologna, ma anche tanti altri luoghi: l'ultimo è stato a Locarno per vedere il suo ultimo Bresson, il penultimo è stato addirittura Teheran, dove forse ha conseguito la malattia che lo ha falciato), se non il profondo affetto – un misto nei suoi confronti di protezione e ammirazione – che lo legava al padre Mario, operaio in ferrovia e quindi fedele frequentatore dell'alessandrino Circolo Ferrovieri, e soprattutto alla madre Carmen, già impiegata alla Borsalino, con un rapporto in entrambi i sensi da icona, non senza bruschi quanto ironici bisticci.
«Figlio della provincia, era stato capace di assumere una dimensione nazionale e quasi internazionale, intrecciando rapporti, contatti, amicizie non disgiunti da contrasti, scontri, polemiche, come naturale che sia. In più aveva una linea ben precisa, fatta di molte certezze e pochi dubbi, senza per questo non evolvere nel percorso, come altrettanto naturale che sia.»