Una recensione di Ugo Casiraghi apparsa in questa data su Il Calendario del Popolo, mensile comunista di divulgazione culturale. Sarà prossimamente raccolta nell'e-book Il cinema del Calendario, a cura di Lorenzo Pellizzari.
Tra tutti i film sulla questione razziale ultimamente giunti da Hollywood, Linciaggio è senza dubbio il più forte e interessante. Stupisce anzi che sia stata girata oggi, negli Stati Uniti, un’opera così coraggiosa, che imposta il tema con tale onestà e precisione di dettagli. Mentre non stupisce che siano state finanziate e varate tante pellicole sulle “minoranze” – sugli ebrei, sui negri – assai più conformiste come Barriera invisibile, Pinky, Odio, La tragedia di Harlem, Uomo bianco tu vivrai, ecc. ecc.; pellicole che lasciavano da parte l’aspetto sociale del problema – il più spinoso e sostanziale – per concentrarsi invece su aspetti psicologici o morbosi, e sulla psicanalisi.
Ma, nel cinema americano, esisteva una tradizione realistica sui problemi razziali in dipendenza stretta e precisa da quelli della società, e particolarmente sul tema del linciaggio. Basti ricordare, ad esempio, Furia (1936) con Spencer Tracy e Sylvia Sidney, diretto dal tedesco Fritz Lang; e meglio ancora Vendetta, di Mervyn LeRoy, il regista di Io sono un evaso. Questo film Vendetta (1937), cinico, spietato, denunciava con vigore il pregiudizio di razza tipico degli Stati del Sud, proprio quegli Stati così cordialmente e languorosamente dipinti in tante pellicole menzognere da Via col vento in poi. E, più tardi, Alba fatale (1943) di William Wellman – venuto anch’esso in Italia ma, come i precedenti, riservato ai circuiti meno ambiti – ci raccontava l’“incidente” di Ox-Bow, dove un uomo era stato linciato innocente.»