“come un film l'è la memoria” (Delio Tessa, La mort della Gussonna) [1 - Rosselliniana]
«Adesso sappiamo esattamente dove va collocata la lapide e quando. Dal recente prezioso libro Roma città aperta di Roberto Rossellini di Adriano Aprà (vi si trova tutto: storia, aneddotica, documenti d'epoca, topografia, rassegne stampa, immagini rare) apprendiamo che “il primo ciak venne battuto nella notte fra il 17 e il 18 gennaio 1945, poco dopo la mezzanotte, perché il 17 porta sfortuna”.
L'improvvisato teatro di posa in cui si fronteggiavano Aldo Fabrizi vestito da prete e il ballerino Harry Feist nella divisa di maggiore delle SS si trovava al numero 30 di via degli Avignonesi, nel salone oggi occupato da un'agenzia ippica.
Ci auguriamo davvero che il Comune di Roma, benemerito editore del libro, non perda l'occasione di eternare in un marmo sulla facciata i nomi di Rossellini, degli sceneggiatori Sergio Amidei e Federico Fellini, di Anna Magnani e Aldo Fabrizi, artefici con tanti altri del capolavoro che rivelò al mondo l'esistenza del nuovo cinema romano uscito dai 268 giorni dell'occupazione nazista. Se non si farà in tempo per il 18 gennaio (sappiamo bene che ogni atto pubblico prevede un faticoso giro di approvazioni e ci sembra già di sentire gli strepiti di “Er Pecora” in consiglio comunale contro la proposta di celebrare un classico dell'antifascismo), si potrebbe acchiappare la data del 24 settembre, in cui il film ebbe il suo battesimo al “Primo (e rimasto unico) festival internazionale del cinematografo” al Quirino.
Nei giorni che seguirono, mentre il pubblico premiava l'uscita normale con un'eccezionale affluenza, non pochi critici fecero entusiasticamente quadrato intorno a Roma città aperta, da Moravia a Flaiano, da Barbaro a Lizzani, da Antonioni a Maurizio Barendson, a Dino Risi, a Pietro Bianchi.
Ma ci fu anche chi bollò la pellicola di “retorica e cattivo gusto” (L'Italia libera), chi la accusò di “rimanere nel limbo” (l'Avanti), chi ne deplorò lo “spietato verismo” (Il Tempo), chi di “portare sullo schermo la miseria di un mondo equivoco, tarato per giunta dal vizio di un alcaloide” (L'Osservatore Romano). E Mino Caudana su Quarta parete scrisse: “L'occasione era buona. Del fatto di averla perduta Rossellini dovrà un giorno rendere conto in sede di Giudizio Universale”. Vero è che dopo qualche settimana lo stesso Caudana fece ammenda della sua sortita: e che Indro Montanelli sul Corriere della Sera si sbilanciò coraggiosamente definendo il film “quasi un miracolo”».
(Tullio Kezich, “Sette” del “Corriere della Sera”)