Chi cercasse in un data-base il nome Aristide Massaccesi troverebbe un solo film con la sua regia: La morte ha sorriso all'assassino (1973), un discreto horror con scene erotiche interpretato da Klaus Kinski. Invece il nato di questo giorno è il più prolifico autore nella storia del cinema italiano sonoro, con oltre 200 film diretti, prodotti e fotografati, praticando tutti i generi e sottogeneri possibili o immaginabili.
Ma c'è il trucco. Già l'anno successivo, con Giubbe rosse, un western interpretato da Fabio Testi, adotta lo pseudonimo Joe D'Amato, nom de plume che renderà famoso grazie alla serie Emanuelle (con una emme sola, per questioni facilmente intuibili) nera, interprete la mitica attrice indo-olandese Laura Gemser, e in seguito, avviandosi alla ben più ampia serie di hard-core degli anni '90, un'incredibile sfilza di nomi di comodo: John Shadow, Michael Wotruba, Alexandre Borsky, Anna Bergman, David Hills, Jim Black, Oliver J. Clarke, Steven Benson, Kevin Mancuso, Dario Donati, Gerry Lively, Joan Russell, Robert Yip, Chang Lee Sun, Una Pierre, Michael Di Caprio, Raf De Palma, nonché un emblematico e allusivo Dick Spitfire.
Tutto comincia forse con Incontri anali all'autosalone del 1994 per concludersi, a poche settimane dalla morte, con Experiences - Il culo violato. Parte seconda (1999), dopo aver gestito le più note star del genere, come Rocco Siffredi («Rocco nonostante le sue notevoli doti fisiche ha anche quel po' di cervello che non guasta. L'unico suo difetto è che andrebbe a letto anche con sua nonna...», e quel difetto non mancò di trasformarlo in un filmetto di successo, Non è mai troppo tardi), Selen, Eva Henger (la ventiseienne moglie biondo-platino di Riccardo Schicchi, il manager delle pornodive, la sua favorita), tutti rigorosamente presenti ai suoi funerali. Che il parroco di Fiano Romano, sino allora ignaro della vera identità di Aristide, celebrò non battendo ciglio dopo aver affermato: «La misericordia del Signore è grande, la Chiesa accoglie tutti».
Tra quanti l'hanno conosciuto, in morte (24 gennaio 1999) lo ricordano, con simpatia e ammirazione, il critico Alberto Crespi («un vero signore») e il regista Davide Ferrario («un saggio navigatore»), che intendeva assegnarli una parte nel suo film Guardami. La notte successiva, l'emittente romana Tele9 manda in onda un vecchio film porno di D'Amato (Carmen - The Spanish Whore) ma – beffa del destino – privo di ogni scena hard.
E pensare che colui che avrebbe sostenuto: «Quello che noi abbiamo sempre cercato di fare è stato dare al pubblico quello che il pubblico voleva. Con passione ed entusiasmo. E senza un filo d'ipocrisia », aveva creduto di poter sfondare con i film colti: nel cinema aveva cominciato a lavorare a quindici anni con Jean Renoir, assistente fotografo nella Carrozza d'oro, aveva continuato con Jean-Luc Godard, Elio Petri, Franco Zeffirelli, alternandosi con dimestichezza alla fotografia, al ciak, alle luci, alla macchina da presa, al montaggio.
Solo l'ultimo termine avrà significato per lui.