Habemus Christum (2)
«La prima volta che Gesù mi apparve al cinema fu ne La tunica (1954), il primo film in cinemascope che tutti, anche i bambini, andavano a vedere: veniva mostrato solo per un istante, in campo lungo, timorosamente. Poiché il cinema, mi spiegarono, non deve prendersi troppa confidenza con nostro Signore. In quegli anni Cinquanta pacelliani e tradizionalisti, l'immagine divina non poteva marciare a 24 fotogrammi al secondo, e se un Cristo doveva agire e parlare in un film, doveva essere munito di imprimatur, un'immagine ufficiale, un oggetto sacro e liturgico: il crocifisso parlante di Don Camillo o quello del convento spagnolo che si mangia i cibi ingenuamente lasciatigli da Marcellino pane e vino.
Alle origini del cinema c'è innanzitutto un fiorire di Via Crucis e immaginette filmate. Poiché il prodotto piaceva, lo usavano con profitto parroci e missionari, il Papa Pio X dovette intervenire per ricordare che le chiese non potevano essere utilizzate per proiezioni di film, ancor che onesti e pii.
Ma intanto il cinema aveva conosciuto un uso diverso, meno devoto e più ideologico, del personaggio divino. Nel 1927, DeMille per il suo Il Re dei re spende due milioni e mezzo di dollari e riproduce fedelmente 298 quadri celebri in quasi 500 mila metri di negativo.
Gli anni Sessanta sono quelli delle grandi rivoluzioni formali e dissacrazioni. Prima di tutte, anche cronologicamente, quella di Pasolini. Accentua lo spirito polemico Buňuel nella Via lattea, il più scatenato di tutti è però Carmelo Bene che, nella sua Salomé del 1973, di Cristi ne mette due: uno finirà per crocifiggersi da solo.
Ma c'è anche una sintesi fra la cristologia didattico-popolare e quella polemico-autoriale ed è stato Il Messia di Rossellini (1976), film insieme tradizionale e rivoluzionario, sacro e quotidiano, scassato e sublime, considerato da alcuni un capolavoro e da altri un disastro, e probabilmente ingiudicabile perché il progetto rosselliniano era di farlo seguire da un Marx ed esserne l'altra faccia, in una moneta da spendere sempre intera».
(Alberto Farassino, «la Repubblica»)
Martedì 29 ottobre, alle ore 20, al cinema Anteo di Milano (via Milazzo 11), ci sarà una serata in memoria di Alberto Farassino, a dieci anni dalla scomparsa. Interverranno Paolo Mereghetti, Fulvia e Viola Farassino e gli amici di Alberto. Silvano Piccardi leggerà: un ritratto di Farassino in Cose da dire di Giuseppe Bertolucci (Bompiani); una poesia scritta da Alberto negli anni Novanta;crittografie mnemoniche e giochi enigmistici con titoli di film. Seguirà la proiezione di un film molto amato da Alberto: Histoire(s) du cinéma. Toutes les histoires di Jean Luc Godard (1988, 51', v.o., sottotitoli italiani, in collaborazione con la Cineteca di Bologna). Fino al 17 novembre è in esposizione all'Anteo spazioCinema Tratti e ritratti. Per Alberto: 23 fotografie di Fulvia Farassino, una mostra curata da Cesare Colombo.
In relazione all'evento, l'intera settimana in corso dell'Altra faccia delle Lune viene dedicata a scritti di Alberto usciti proprio in quel giorno di quell'anno, col prezioso ausilio del suo Scritti strabici. Cinema, 1975-1988, curato da Tatti Sanguineti con Giorgio Placereani (Baldini Castoldi Dalai, Milano 2004).