Navigando in rete, càpita di imbattersi in documenti curiosi quando non preziosi, e spero che Silvano Agosti non se ne abbia a male se, nel giorno del suo compleanno, diffondiamo la lettera datata “Locarno, 14 agosto 1998”, da lui inviata a Marco Bellocchio:
«Carissimo Marco, un impegno improvviso quanto provvidenziale mi costringe a partire da Locarno prima della tua tavola rotonda alla quale anch'io ero invitato a partecipare. Provvidenziale per varie ragioni anche perché, come tu sai, non amo le tavole rotonde e comunque non avrei trovato giusto umiliare la bella e non breve stagione del nostro appassionato lavoro in comune con brevi battute o ammiccamenti riassuntivi. Il territorio espressivo che abbiamo esplorato insieme parte come sai dal tuo primo documentario Abbasso il zio e dalla prima esercitazione televisiva al Centro sperimentale che hai realizzato sul mio testo Il buco e prosegue nei Pugni in tasca, e in Nel nome del padre, nel Gabbiano e converge in modo anche più intenso in Matti da slegare e La macchina cinema passando attraverso i nostri densi colloqui su Salto nel vuoto e su quelli anche più profondi di Marcia trionfale, ed è stato durante questa esperienza i cui risultati ritengo tragici rispetto alle aspirazioni iniziali che ho deciso di porti il mio aut-aut. In quel caso infatti, il produttore Clementelli aveva esercitato su di te un peso intollerabile nella modifica del progetto iniziale. "Caro Marco", ti dissi, "o smetti di lavorare coi produttori o io non potrò continuare la mia collaborazione con te."
«E così è stato, avviandoti verso altri destini. Ho riassunto gli eventi senza entrare nel merito della loro intensità non tanto perché penso tu li abbia dimenticati, o come si usa dire in altra sede "rimossi", ma perché voglio anch'io dare un contributo di rigore al materiale raccolto con dovizia sul tuo lavoro e sulla tua vita. Ho deciso di fare questo come un ulteriore atto d'amore nei tuoi confronti, nel momento in cui sono venuto a conoscenza che il dott. Massimo Fagioli avrebbe pubblicamente espresso la sua convinzione che I pugni in tasca, unico film a suo dire veramente importante della tua vita, non lo hai fatto tu, ma lo ha fatto Silvano Agosti, che sarei io. Sono trent'anni che questo mormorio, misteriosamente assecondato dai tuoi silenzi, scorre alle mie e alle tue spalle e quindi, come regalo di questa festa, voglio chiarire una volta per tutte il problema.
«Ero riuscito nell'intervista fattami da Paola Malanga, (tuttavia questo passo non lo vedo riportato) a risolvere in modo poetico questo enigma dicendo che il vero autore de I pugni in tasca non ero né io né tu, ma era il film stesso che, come altre volte è accaduto nella storia del cinema, si era imposto d'autorità fruendo dell'apporto appassionato e "innocente" di cinque persone che qui volentieri nomino: Marco Bellocchio, Silvano Agosti, Lou Castel, Rosa Sala e Alberto Marrama. La mia convinzione infatti è che la forza imbattibile e imbattuta de I pugni in tasca sgorghi dalla convergenza di queste diverse culture che hanno potuto esprimersi nella loro interezza, senza l'ostacolo dell'"autore che si impone". Così l'umile e devoto lavoro di Alberto Marrama, direttore della fotografia, la geniale impostazione scenografica di Rosa Sala, la veemente e totale offerta di sé di Lou Castel; il nostro lavoro in comune prima del film, durante la sceneggiatura e le riprese, il mio appassionato apporto durante l'edizione, sono fiumi di creatività che hanno trasfigurato il bacino delle tue ossessioni e hanno determinato l'indiscutibile valore culturale e storico del film. E ciò affermo e non per offuscare questa bella e meritata festa, anche se non so rinunciare scherzosamente a ricordarti l'equivalente popolare dell'espressione: "fare la festa a qualcuno". La mia insistenza nel convincerti sull'essenziale necessità che Ale morisse alla fine del film I pugni in tasca, nasceva dalla consapevolezza che tu avevi in animo di tracciare con Ale un profilo della borghesia assassina ma non avevi, in un certo senso, l'energia per concepirne la morte, temendo forse di travolgere te stesso o comunque la cultura che ti aveva generato, e poiché ritenevo fosse essenziale che Ale morisse della stessa logica che aveva espresso nella sua cinica criminalità, come sai ho impiegato ventisette giorni a montare il film e un intero mese a montare gli ultimi sei minuti, quelli appunto della morte di Ale, che, come quella della borghesia, doveva essere una morte disperata ed epica e, per certi aspetti, "innocente". Ricordi l'antico proverbio napoletano che in un primo momento avevi accettato di mettere alla fine del film e che in seguito è sparito: "Non v'ha maggior dolore / di chi coll'armi suo ferito more / che la debita pena del mal fare / tarda talvolta, ma non può mancare". Ti abbraccio, Silvano».
Lasciamo ogni ulteriore considerazione al lettore. Ma forse non è un caso se I pugni in tasca si differenzia – per andamento, ritmo, presa sullo spettatore – da qualsiasi altro film firmato Bellocchio.