«Non è un artista eccessivamente prolifico – produce un film mediamente ogni tre/quattro anni – ma i suoi costi di realizzazione sono sempre più bassi di quelli dei suoi colleghi, e continua ad essere l'unico vero autore del cinema fantastico dei nostri giorni. Lucas, Spielberg e tutti gli altri, infatti, sono senza dubbio demiurghi con le carte in regola, ma devono delegare agli altri (Douglas Trumball, John Dykstra, gli artisti della Industrial Light and Magic) la realizzazione pratica delle loro fantasie. Né, d'altra parte, alcuno dei realizzatori di effetti speciali d'oggi può avere il completo controllo sul film che invece ha lui, il quale è spesso autore del soggetto, co-produttore, “spalla” del regista per le sequenze d'effetti speciali, scenografo e soprattutto autore degli effetti dal primo disegno dello storyboarding fino all'ultimo fotogramma di proiezione.»
Così nel 1982, in occasione di una rassegna modenese a lui dedicata, Andrea Ferrari di Ciak, che aveva avuto il privilegio anni prima di conoscerlo personalmente a Londra («un uomo delizioso, gentile, quasi esageratamente modesto»), come – grazie al medesimo Ferrari – capitò anche a noi, qualche anno dopo, in occasione di un omaggio resogli tra il lago di Garda e Verona, ricevendone la stessa impressione.
Stiamo parlando di Ray Harryhausen, nato in questa data e scomparso, senza gran clamore, il 7 maggio 2013. Destino condiviso, lui che può essere considerato il Georges Méliès di Hollywood, con l'illustre precursore del fantastico.
Principe degli animatori a passo uno specializzati nell'introdurre le proprie creazioni in film interpretati da attori in carne e ossa, nei suoi primi due film importanti (Il re dell'Africa, 1949, e Il risveglio del dinosauro, 1953, che avrebbe ispirato l'anno successivo il primo Godzilla) utilizza per la prima volta lo split-screen, una tecnica che in seguito avrebbe chiamato Dynamation e che gli permette di dare l’impressione che le sue miniature stiano interagendo direttamente con gli attori.
Ecco gli altri titoli che completano la sua filmografia e che vennero proposti tutti nella rassegna modenese: Il mostro dei mari (1955), La Terra contro i dischi volanti (1956), Il mondo è meraviglioso (1956), A 30 milioni di km dalla Terra (1957), Il settimo viaggio di Sinbad, (1958), I tre mondi di Gulliver (1959), L'isola misteriosa (1961), Gli Argonauti (1963, con la sorprendente battaglia con gli scheletri: un pezzo da antologia), Base Luna chiama Terra (1965), Un milione di anni fa (1966), La vendetta dei Gwangi (1969), Il fantastico viaggio di Sinbad (1973), Sinbad e l'occhio della tigre (1977) fino al conclusivo – in bellezza, e non solo teenica – Scontro di titani (1981).
Un artista-artigiano, primitivo e naïf, che oggi, bombardati da altri effetti, vorremmo rivedere.