Caso vuole che nello stesso giorno nascano Yves Allégret, marito per poco più di un anno di Simone Signoret, e – nel 1921 – un altro Yves, Montand, che della Signoret sarà il compagno, pur tra molte burrasche, di una vita. Qui si preferisce ricordare colui che seppe esaltare la bionda attrice nell’incantevole Dedée d’Anvers (1947), la sua prova più affascinante unitamente a Casco d’oro (1952) di Becker.
Come il fratello maggiore Marc, quello del Voyage au Congo (1927) insieme con André Gide e di Ragazze folli (1938), Yves è abbastanza prolifico e di gran successo ai suoi tempi, ma entrambi si sono un po’ persi nel corso della carriera e oggi pochi li ricordano. Per Yves bastano però tre film a inciderne la memoria, a cominciare appunto dal citato Dedée, dramma d’amore e di morte tra le nebbie di un angiporto, rivisitazione postbellica del realismo poetico alla Carné ma con maggior verismo, a cominciare dai dialoghi in cui si intrecciano francese, inglese e l’italiano di Marcello Pagliero, vittima sacrificale. Il secondo film è Une si jolie petite plage (1949, orrendamente ribattezzato La via del rimorso o del crimine), ove campeggia Gérard Philipe, forse nella sua migliore interpretazione, e ove, al di là del realismo poetico, si respira aria di esistenzialismo. Non a caso un racconto di Sartre è all’origine del “messicano” Gli orgogliosi (1953) dalle tinte forti, luttuose e crudeli, illuminate dalla presenza, accanto a Philipe, di una straordinaria Michèle Morgan.
Se non altro i tre film hanno in comune un meraviglioso bianco e nero, più nero che bianco, dovuto rispettivamente a Jean Bourgoin (quello di Rapporto confidenziale), Henri Alekan (quello di Il cielo sopra Berlino), Alex Phillips (quello di Subida al cielo). E dite se è poco: basterebbe questo a farli riproporre.