Con le prime cariche della polizia contro gli studenti in protesta si fa convenzionalmente iniziare il Maggio francese. Ci piace evocare questo evento, in cui il cinema ha gran parte, proprio parlando di colui che sembra il meno indiziato. Eppure...
«Scrivere, girare e montare Baci rubati nella prima metà del ’68 è, da parte di François Truffaut, quasi un atto di schizofrenia. L’affaire Langlois scoppia a febbraio quattro giorni dopo l’inizio delle riprese. Egli si divide tra la militanza in difesa della cineteca e del suo fondatore cinicamente estromesso dalla direzione, e il film cui si è accinto per tener fede alla promessa fatta a Jean-Pierre Léaud di utilizzarlo al meglio e non come gli altri registi. Baci rubati non è solo centrale nel ciclo Doinel: lo diventa nell’attività di Truffaut, di cui chiarisce una volta per sempre, e proprio nel momento più “politico” della sua vita, la volontà di non rinnegare la scelta artistica.
«Dagli eventi burrascosi ma entusiasmanti che si susseguono sul piano civile – tra la cineteca chiusa che appare a commento della dedica e le battaglie del Maggio studentesco, tra la contestazione del festival di Cannes e gli “Stati generali del cinema” – Truffaut ha molto da imparare; come cineasta, invece, sente di non aver nulla da insegnare in questo campo. Quel che può fare è trasmettere i suoi stati d’animo, i suoi sentimenti privati, ciò che conosce intimamente e di cui ha esperienza personale. Non può e non vuole azzardarsi a tradurre in immagini le lotte ideologiche e sociali. Altri, come Godard, sanno muoversi su questo terreno, e far cinema anche con gli slogan politici. Lui no, tra privato e pubblico si alza la barriera di sempre. Eppure l’apprezzamento generale raccolto da Baci rubati indica che la commedia non è poi così spensierata ed è capace anch’essa di recare testimonianza su come andava il mondo nel 1968» (Ugo Casiraghi, Vivement Truffaut!, a cura di Lorenzo Pellizzari, Lindau, 2011).