Nel giorno genetliaco di un giustamente celebrato musicista ecco (con autocitazione) un suo ritrattino agrodolce:
«Un personaggio curioso, Piero Piccioni, in arte Piero Morgan: affascinante perché buon musicista, molto apprezzato durante la guerra per la sua straordinaria collezione di dischi di jazz, noto per la direzione di 013, un'orchestrina RAI; ma anche straordinariamente emotivo, fino a subire, nei suoi frequenti momenti di depressione, un'altrettanto curiosa e furiosa alternanza di singhiozzo e balbuzie. Un personaggio che forse comincia anche a dare fastidio. “Se il papà, vecchio popolare, aveva il torto di fare ombra ai giovani scalpitanti di Iniziativa democratica, Piero”, scrive Filippo Ceccarelli, “non pagava solo lo scotto di essere un musicista moderno e, in un sovrappiù d'invidia, anche l'amante di una delle donne più belle, Alida Valli” ma pure quello “di essere il figlio di un capo democristiano, nonché nipote del vescovo di Livorno, con casa a via della Conciliazione, in faccia a San Pietro... In altre parole, attrici, musica jazz e Democrazia cristiana facevano corto circuito.” E la conferma viene dalla stampa filofascista dell'epoca, tipo Il Borghese, dove Piero Buscaroli, in arte Leopoldo Marangoni, memore dei tempi in cui certa musica veniva definita negroide, è impietoso nel ritratto del povero Piero (che non è quello della ballata di Fabrizio de André): “Questo giovanotto che suona i motivi della Louisiana con lo stile hot, questo giovanotto che appena arriva il bebop diventa subito il capo dei bebopisti, che va ad Harlem per perfezionarsi nei blues, che balla con la Bergman e va in macchina con Alida Valli, le sbagliò sempre tutte”» (da Il romanzo di Alida Valli, Garzanti, 1995).
Ciò che il ritrattino non dice è che si tratta del compositore principe del cinema italiano (171 colonne sonore dal 1952 di Il mondo le condanna di Gianni Franciolini al 1998 di Incontri proibiti del suo da sempre sodale Alberto Sordi), lui che esordisce come pianista di jazz (1938) e come propagatore del medesimo alla radio in epoca non sospetta, marchio che lo caratterizza – ora provocatorio, ora più di mestiere – anche nel corso della lunga carriera cinematografica.
Osteggiato dalla famiglia (è figlio del notabile democristiano Attilio) si firma, sino alla fine del 1959, Piero Morgan. Un incidente di percorso (viene coinvolto, poi scagionato grazie a un alibi fornitogli dall'amica Alida Valli, nel tortuoso caso Montesi) gli crea qualche altro ostacolo, ma la sua miracolosa attività – agevolata forse dal potente fratello Leone – prosegue implacabile, tra prodotti di routine e voli alti.
Basti ricordare La spiaggia (1953, di Alberto Lattuada), Nata di marzo (1957, di Antonio Pietrangeli), I magliari (1959, di Francesco Rosi), La notte brava (1959, di Mauro Bolognini), L'assassino (1961, di Elio Petri), Il sorpasso (1972, di Dini Risi), altrettanti registi che gli restano a lungo fedeli, incantati dalle sue fredde ma trascinanti variabilità jazzistiche, e cui si aggiungono persino Pasolini e Visconti. La gamma è ampia, anche se i necrologi il 24 luglio 2004 tendono a esaltare la sua collaborazione amicale con Sordi attore e regista (a cominciare dal fortunato tema di Fumo di Londra, 1966).