C'è chi è cresciuto pensando che l'espressione retorica “un posto al sole" appartenesse alla stagione del consenso fascista, con Mussolini che la coniò nel 1936 per dare agli italiani l'illusione di appartenere a una grande nazione e di poter disporre sulla cosiddetta “quarta sponda”, ovvero nella riconquistata Libia, di grandi occasioni di lavoro e di profitto.
Oggi, girovagando per Google, si scopre che “Un posto al sole” è un ristorante-pizzeria di Parma “con specialità regionale e menù di pesce”; oppure un agriturismo di Otranto, “completamente immerso nel verde della campagna salentina”; o un istituto di bellezza di Brugherio; o un centro benessere di Prato dove “troverai solo i migliori prodotti per la cura e la bellezza del tuo corpo”; o un centro di abbronzatura a Biban di Carbonera in provincia di Treviso; o infine un bed & breakfast di Zoagli.
Tutti nostalgici? No, semplicemente teledipendenti, da quando, in questa data, va in onda su RaiTre la prima vera soap opera italiana, Un posto al sole, che oggi, 21 ottobre 2014, raggiunge le 4102 (quattromilacentodue) puntate. L'idea del programma è di Giovanni Minoli, allora direttore della rete, ma il format giunge, solo come ispirazione, dall'Australia, dove l'analogo Neighbours regge dal 1985, ovvero da ben 29 anni.
Ambientato ovviamente nella città di 'O sole mio, e opportunamente realizzato dal Centro di produzione TV Rai di Napoli, Un posto al sole (Upas) è stato ideato e scritto in Italia da Wayne Doyle con la collaborazione di Adam Bowen, Gino Ventriglia e Michele Zatta, a produzione "industriale", fortemente pianificata. Raccontano che la realizzazione conosca ritmi da catena di montaggio, che le riprese si svolgono in tempi strettissimi e in successione naturale, che i team di sceneggiatori si intreccino su più fronti, che i dialoghisti (uno per ciascuno dei personaggi principali) operino a braccio, quasi come per una commedia dell'arte, ma sembra che i set e le locations siano out per chiunque.
L'ambientazione non potrebbe essere più napoletana, luoghi comuni qualche volta compresi, visto che la storia è incentrata attorno alle vicende degli abitanti di un palazzo, “Palazzo Palladini”, situato sulla collina partenopea di Posillipo, di fronte al mare e al Vesuvio, un palazzo che si compone di sette appartamenti: l'appartamento Giordano (sotto piano terra), che è l'abitazione destinata al portiere del palazzo; il maxi appartamento Palladini (primo piano), il più lussuoso e centrale del palazzo, dove ha sede anche il comando delle Imprese Palladini; l'appartamento Poggi (primo piano); l'appartamento Silvia Graziani (primo piano).; l'appartamento (secondo piano) con una terrazza sul mare; l'appartamento De Santis poi Bruni (secondo piano), al cui interno si trova anche lo studio medico privato di Ornella; l'appartamento della torre; il “Centro d'accoglienza”, di volta in volta ufficio, garçonnière, alloggio di fortuna. E già da questa stratificazione si possono assumere caratteristiche e fasi della vicenda.
Ma di quale vicenda? Le vicende sono tante e tali da far smarrire anche il più accanito e agguerrito telespettatore, un identikit che potrebbe comprendere le lettrici di romanzi rosa, gli amanti dei fotoromanzi, gli orfani delle sceneggiate, i fedeli del feuilleton. Non si tratta però solo di passioni e tradimenti, di omicidi e rapine, di intrighi e di complotti. Un posto a sole si occupa spesso di temi sociali, anche in maniera approfondita: in ordine sparso, camorra, stupri, delinquenza giovanile, adozioni, tossicodipendenze, Aids, alcolismo, violenze in famiglia, omosessualità, condizioni dei senzatetto, nuovi poveri, riabilitazione degli ex detemuti, problemi dei rifiuti, bulimia, impotenza, gioco d'azzardo, beni confiscati alle mafie, abbandono scolastico, disabilità, prostituzione minorile, doping, smaltimento di rifiuti tossici... e chi più ne ha, più ne metta, non senza – quale alleggerimento – sfumature comiche e surreali.
Comunque lo si giudichi, non si può negare a Un posto al sole l'efficacia – mutatis mutandis, visti i tempi in cui viviamo – di una quasi balzachiana comédie humaine, e non provare simpatia per almeno uno dei suoi interpreti, l'inconfondibile Patrizio Rispo, nel ruolo dal 1996 di Raffaele Giordano, il portiere di "Palazzo Palladini". Tanto per dare un tocco di populismo. E per dimenticare la Libia.
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