Viscontiana (V): la parola al fregato. «Pare che alla proiezione ci fossero tre o quattro ministri democristiani venuti giù apposta, tre o quattro deputati comunque, i quali subito dopo la proiezione hanno detto: “E' uno schifo, una vergogna, un film che non può essere assolutamente premiato”. Dopo di che hanno influenzato la giuria. A parte il russo che non vuol essere coinvolto in quel giudizio, a parte Tofanelli che si è comportato bene, a parte l'americano e il polacco, gli altri erano contrarissimi: quel glottologo e l'altro, l'altro italiano che non nomino. I francesi hanno portato l'acqua al loro mulino, quelli ciao, pazienza, sono francesi; dicevano: “Pigliamoci un premio per la Francia”. Hai capito? Così sono andate le cose» (Ciro e i suoi fratelli, intervista di Guido Aristarco, “Cinema Nuovo”, 147, settembre-ottobre 1960, p. 401)
Nel 1954, alla prima edizione della Mostra in cui il massimo premio previsto per il concorso viene definitivamente indicato nel Leone d'Oro, la giuria presieduta da Ignazio Silone e formata dagli italiani Gromo, Pasquale Ojetti, Regnoli (poi critico de “L'Osservatore Romano” e futuro autore di western all'italiana) e Filippo Sacchi, dallo spagnolo filofranchista Cuenca, dallo svedese Almquist, dal francese Chauvet e dall'inglese Manvell, assegna il riconoscimento neo-battezzato a Giulietta e Romeo (di nuovo Castellani davanti dop il '48!); dispensa quattro Leoni argentei a Fellini (La strada), Kazan (Fronte del porto), Kurosawa (I sette samurai) e Mizoguchi (L'intendente Sansho), ma ignora letteralmente la presenza in concorso di Senso: al punto da non salvare neppure ipocritamente le apparenze, accantonando in un vergognoso no contest la Coppa Volpi per l'interpretazione femminile, facendo cioé finta di non aver visto almeno la bravura e la bellezza - qui insuperate - di Alida Valli. Nonostante questo, Visconti avrà la generosità di accettare il ruolo di giurato nell'edizione di due anni dopo.
Ma il vertice sarebbe stato raggiunto appunto nel 1960, col Leone d'Argento a Rocco e i suoi fratelli, cui viene anteposto l'Oro al Passaggio del Reno di Cayatte. I “francesi” in giuria erano il presidente Marcel Achard e di nuovo Louis Chauvet; il russo era Bondarciuk, l'americano Steinman, il polacco Toeplitz. Poi c'erano lo spagnolo Berlanga, l'argentino Potenze (che anni dopo avrebbe fornito la propria testimonianza filo-Visconti con una lettera a “Cinema Nuovo”) e l'inglese Peter Baker. Quanto agli italiani, “il glottologo” era Antonino Pagliaro; l'altro innominato era naturalmente il maggior anglista nazionale del secolo scorso, che peraltro Visconti avrebbe generosamente “perdonato”, ispirandosi con tutta evidenza alla sua figura e al suo stile di vita per il personaggio del Professore affidato a Burt Lancaster in Gruppo di famiglia in un interno.